Uno sciocco federalismo ammazza l’apprendistato scolastico

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Tra i tanti luoghi comuni che stanno frenando il contratto di apprendistato, uno va molto di moda pur essendo profondamente sbagliato: si dice che il contratto è troppo difficile da usare, perchè la frammentazione delle norme a livellonregionale rende eccessivamente complessa, per le aziende, la costituzione e la gestione del rapporto di lavoro. Su questo giornale abbiamo più volte tentato di dimostrare che questo luogo comune non corrisponde alla realtà normativa, in quanto con il Testo Unico del 2011 il legislatore ha introdotto importanti elementi di semplificazione che hanno sostanzialmente sterilizzato ogni possibile conflitto o sovrapposizione di norme, assegnando ai contratti collettivi un ruolo centrale di regolazione della materia. Queste considerazioni valgono tuttavia solo per la forma oggi più diffusa di apprendistato, quello professionalizzante, rivolto ai giovani che hanno terminato la scuola dell’obbligo.
Se invece si vanno ad esaminare le altre due tipologie di apprendistato – quello qualificante oppure quello di alta formazione – la critica sull’eccessiva complessità normativa diventa ancora valida ed attuale.
Le norme che regolano questi contratti sembrano scritte per scoraggiare in tutti i modi il mercato del lavoro – in particolare le aziende e i lavoratori – a utilizzare questi rapporti come possibili strumenti di ingresso al lavoro. Rinvii che si sovrappongono tra loro, definizioni ridondanti e complesse (meno di quelle contenute nella legge Biagi, ma comunque nel solco di tale normativa), frammentazione territoriale, creano una nebuola che rende difficile – almeno a chi non segue professionalmente la normativa del lavoro – la comprensione di cosa sono, ed a cosa servono questi rapporti.
Questo è un problema che va risolto con urgenza, perchè stiamo parlando di forme contrattuali cruciali per la crescita del mercato del lavoro. In particolare, la forma di apprendistato qualificante dovrebbe svolgere un ruolo essenziale di “cerniera” tra percorso scolastico e mondo del lavoro e, in particolare, dovrebbe consentire di trattenere nel sistema educativo quei giovani ad alto rischio di dispersione scolastica, garantendo una alternanza tra istruzione tradizionale, e formazione tecnica svolta anche mediante attività lavorativa. I problemi, tuttavia, non si esauriscono a livello normativo. Infatti, l’alto livello di complessità delle regole che disciplinano questo contratto non ha impedito alle Regioni e alle Province Autonome di regolare, in maniera molto estesa sul territorio, l’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale (al contrario di quanto accaduto con la precedente tipologia di apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione, che era rimasta inattuata in quasi tutto il territorio nazionale). Esiste, quindi, seppure molto complessa, una piattaforma di regole ormai completa, che potrebbe consentire l’avvio concreto del contratto. Eppure, nonostante il completamento del quadro normativo, i rapporti di monitoraggio effettuati annualmente dall’Isfol dimostrano che le Regioni hanno difficoltà a definire una specifica offerta formativa per questa tipologia di apprendistato. Insomma, come spesso accade nel nostro sistema, le buone idee prima devono passare tra refole cervellotiche e poi vanno a sbattere contro il muro di gomma dei ritardi della pubblica amministrazione (seppure con tante e lodevoli eccezioni) di qualsiasi livello, centrale e locale.

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