Tirocini: un groviglio di norme regionali paralizza il contratto. Tutto merito della scellerata riforma del Titolo V

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Nonostante i diversi tentativi di individuare regole uguali per tutti, la materia dei tirocini formativi resta incastrata dentro un incomprensibile reticolo normativo. Le aziende che vogliono assumere un tirocinante si trovano di fronte a un sistema che, sebbene il territorio nazionale non sia motlo vasto, regola con 21 discipline diverse (le norme delle regioni e quelle delle province autonome) lo stesso rapporto, il tirocinio. Questa situazione, solo in parte attenuata dai tentativi, pure meritevoli, di concentrare presso una sola regione le regole da applicare, deriva da una scelta tanto affrettata quanto dannosa, la cosiddetta riforma del Titolo V della Costituzione. Con questa riforma il legislatore ha trasformato quella che era una tradizione soprattutto gestionale e amministrativa – la specializzazione delle regioni sul tema della formazione – in una potestà legislativa di carattere, addirittura, esclusivo. Questa scelta ha avuto una portata dirompente, in quanto nel sistema delle fonti scaturito dal nuovo Titolo V, dare competenza esclusiva su una certa materia significa rendere incostituzionali tutte le norme proveniente sulla medesima materia da fonti diversi. In un solo colpo, il Titolo V ha spazzato (con rilevanti incertezze interpretative, peraltro) via la normativa statale che già esisteva – la legge n. 196/1997, nota anche come pacchetto Treu – ed ha creato una riserva esclusiva in favore delle Regioni, che ha impedito ogni possibile tentativo di individuare regole uguali per tutti. Ne hanno fatto le spese una norma, del tutto secondaria, contenuta nella legge Biagi, e tutte le altre norme nazionali che hanno sfiorato la materia come, da ultimo, l’art. 11 della legge n. 148 del 2011, che definiva regole minime che avrebbero dovuto essere rispettate dalle legislazioni regionali. Proprio questo aspetto – la definizione di standard minimi – è l’unica competenza ancora rimasta al livello nazionale, ma la nozione risulta troppo sfuggente ed espone ogni norma al sindacato della Corte Costituzionale. La legge Fornero ha tentato di ovviare in maniera indiretta a questo problema, con il sistema delle linee guida concordate tra le Regioni, ma l’esperienza di questi mesi dimostra che queste linee comuni, una volta declinate a livello regionale, hanno prodotto comunque regole differenti. Questa situazione danneggia innanzitutto le Regioni, sollecitate a fare un “mestiere” – quello del legislatore – di cui un sistema normativo già affollato non avverte il bisogno, mentre rischia di mettere in secondo piano quello che sanno e devono fare meglio, la gestione amministrativa delle politiche formative. Danneggia anche gli organi di vigilanza, che hanno di fronte un compito improbo, andare a verificare la regolarità di rapporti che hanno ben 21 fonti normative differenti. Danneggia, infine, anche i giovani che dovrebbero cogliere l’occasione del tirocinio come primo contatto con il mondo del lavoro. La confusione normativa, unita a regole discuibili che danno tante tutele, come se il tirocinio fosse una forma di lavoro subordinato, e poca attenzione al lato formativo, crea un ambiente molto favorevole per quelli che vogliono fare i furbi, mentre mette a disagio quelle aziende che vorrebbero offire reali esperienze formative ai giovani.

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