Quale exit strategy per gestire la crisi del lavoro. L’intervento di G. Falasca a Tuttolavoro 2013

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Un diritto del lavoro troppo burocratico, che cambia con eccessiva frequenza e, soprattutto, ostacola le aziende che vogliono assumere lavoratori mediante contratti regolari.
La riforma Biagi del 2003 è stata oggetto di ben 19 provvedimenti legislativi, i quali l’hanno modificata in piu di 150 commi o parti di commi. Analoga sorte è capitata alla normativa sul contratto a termine, il d.lgs. n. 368 del 2001, che avrebbe dovuto rendere piu facile l’utilizzo del rapporto e, invece, ha prodotto migliaia di cause, ed e’ stato oggetto di ben 11 leggi di modifica, che lo hanno cambiato in piu di 40 commi o parti di commi. Questi esempi mettono in evidenza che non stiamo vivendo solo una intensa e difficile crisi economica, ma siano anche di fronte ad una pesante crisi dell’ordinamento giuridico, incapace di definire regole convincenti, stabili ed efficaci.
In questa situazione, anche i possibili venti di ripresa che, con grande ottimismo, sono stati annunciati da qualche ministro, rischiano di non essere agganciati dal nostro Paese. Secondo un vecchio insegnamento degli economisti, non sono le leggi a creare i posti di lavoro. Tuttavia, le norme – se sono sbagliate – ne possono distruggere molti, di posti, convincendo le aziende ad investire in ordinamenti piu competitivi del nostro.
Servirebbe un cambio importante di tecniche di regolazione del fenomeno lavoro, ma nessun legislatore fino ad oggi ha colto questa urgenza. A fronte di questa incapacità del sistema politico di dare risposte efficaci, le aziende non possono fermarsi alla critica, ma devono trovare da sole le possibli soluzioni al problema della complessità normativa e procedurale.
La principale strategia da seguire per affrontare il problema è quella di investire fino in fondo sulle potenzialità degli accordi collettivi di secondo livello. In maniera un pò disordinata, e senza un grande disegno complessivo, questi accordi si stanno affermando come strumenti capaci di definire, anche in deroga alla legge, pacchetti di regole tagliate su misura per le aziende.
I fattori che hanno concorso a dare queste potenzialità ai contratti di secondo livello sono tre: la legge, che spesso rinvia direttamente a loro (es. per l’eliminazione della causale dei contratti a termine), l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, che individua il secondo livello come sede di regolazione delle materie delegate dal contratto nazionale, e l’art. 8 della legge n. 148/2011, che consente ai c.d. contratti di prossimità di derogare alla legge, in presenza di determinate condizioni.
I rapporti che, mediante l’intesa aziendale o territoriale, possono essere disciplinati – e semplificati – in maniera incisiva sono molti. L’apprendistato (come dimostra l’accordo Expo di luglio scorso), che pure non soffre di un problema di complessità (dal Testo Unico del 2011) ma è ancora visto con diffidenza a causa una storia passata fatta di inestricabili grovigli normativi, può essere costruito con durate e percorsi formativi tanto semplici quanto adatti a un singolo contesto produttivo o settore. Il contratto a termine puo’ essere “liberato” da vincoli tanto rigidi quanto inutili come la causale e lo stop and go. Analogo percorso può interessare la somministrazione di personale, che può essere ulteriormente sgravata da vincoli causali o, nel caso dello staff leasing, da limiti settoriali. Anche parti importanti del lavoro a tempo indeterminato possono essere riviste mediante le intese di secondo livello, dall’orario di lavoro fino alle mansioni. Certamente, trattandosi di accordi che devono essere accettati dal sindacato, queste intese richiedono un grande lavoro progettuale e negoziale. Ma se si investisse fino in fondo su questo livello, si scoprirebbe che il tavolo delle relazioni industriali più vicino all’azienda o al territorio ha una grande capacità di trovare soluzioni efficaci ai problemi normativi.
Oltre ad investire sul secondo livello, le aziende dovrebbero cercare di non farsi travolgere dalla tentazione di generalizzare la critica, pure giusta, verso l’attuale diritto del lavoro. Ancora oggi si sentono lamentele contro la complessità dell’apprendistato, del tutto incoerenti con il quadro normativo che, invece, ha reso questo strumento molto semplice da usare, liberandolo da vincoli regionali o da procedure di qualsiasi tipo.
Quella poca semplicità che esiste deve essere capita, riconosciuta e sperimentata, senza imbarazzi e senza timidezza.

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