La contrattazione collettiva inizia a recepire le novità in materia di contratti a termine introdotte dal decreto legge n. 76/2013. Come noto, la riforma Fornero aveva creato notevoli impacci al mercato del lavoro, mediante l’innalzamento brusco della durata degli intervalli minimi che devono essere rispettati tra un contratto a termine cessato e un nuovo rapporto con lo stesso lavoratore, per le stesse mansioni: questi intervalli erano saliti da 10/20 giorni (il discrimine riguardava la durata, inferiore o superiore a 6 mesi, del rapporto precedente) fino a 60/90 giorni. Con il decreto n. 76/2013, questo intervallo è stato riportato a 10 giorni (20, se il precedente contratto ha avuto una durata superiore a 6 mesi), ed è stato dato ampio spazio alla contrattazione collettiva che, secondo la nuova disciplina, può definire i casi nei quali l’intervallo minimo non si applica.
Questo spazio viene utilizzato dall’intesa siglata il 10 ottobre scorso da Federalimentare, con diverse altre associazioni datoriali affini, e i sindacati di categoria maggiormente rappresentativi. Secondo l’intesa, per tutte le assunzioni a termine del settore, l’intervallo che deve sussistere tra un contratto a termine e l’altro è pari a 5 giorni (che diventano 10, se il contratto precedente superava i 6 mesi). Viene inoltre specificato che per le assunzioni di carattere sostitutivo (es. motivate dalla necessità di sostituire lavoratrici in maternità, o dipendenti assenti per ferie o malattia) non sono previsti intervalli minimi (ma per l’operatività di tale regola, si rinvia ad apposite intese aziendali). Queste intese sono molto utili, e dovrebbero essere stipulate soprattutto da quei comparti che, in maniera diligente, sotto la vigenza della legge Fornero avevano ridotto i termini dai 60/90 giorni a 20/30; non è pacifica, infatti, la conclusione – avallata anche dal Ministero del lavoro – per cui tali intese sarebbero ormai superate, perché si tratta di fonti diverse dalla legge, la cui invalidità può essere dichiarata solo all’esito di accertamenti molto complessi.
L’intesa disciplina anche il tema della causale. La legge Fornero ha introdotto la possibilità di non indicare la causale a certe condizioni (primo rapporto tra le parti, durata massima di 12 mesi), e il decreto lavoro del giugno scorso ha apportato alcuni correttivi al sistema, rimuovendo il divieto di proroga del rapporto privo di causale, e migliorando la quantità e la qualità dello spazio lasciato alle parti sociali per individuare casi aggiuntivi di esenzione. L’intesa collettiva del settore alimentare applica in maniera ampia proprio questo tipo rinvio, definendo alcuni casi che, in aggiunta rispetto a quelli già previsti dalla legge, non richiedono l’apposizione della causale al contratto a termine.
La prima ipotesi di esenzione è quella stipula di un secondo contratta tempo determinato con un lavoratore che ha già lavorato con l’azienda, in precedenza, sulla base di un contratto a termine privo di causale; in tale ipotesi, anche nel nuovo contratto si può omettere la causale, a condizione che non venga superata né la durata di 12 mesi né la durata del precedente rapporto, incluse eventuali proroghe. L’altra ipotesi nella quale non è richiesta la causale riguarda l’assunzione di un dipendente che già ha lavorato con la stessa azienda, ma (al contrario del caso precedente) sulla base di un contratto nel quale era apposta la causale. Anche in questa ipotesi, il nuovo rapporto non può superare i 12 mesi. Per questi contratti, infine, l’intesa stabilisce l’assenza di intervalli minimi tra un contratto e l’altro.