T. Treu: inoccubabili, quell’handicap che dà ragione a Giovannini

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L’intervento del ministro Enrico Giovannini sulle difficoltà occupazionali dei giovani si basa su dati, anche internazionali, che dovrebbero essere visti con preoccupazione perché denunciano una grave situazione del nostro paese.
Uno degli handicap maggiori della nostra economia è il cosiddetto skill gap, cioè la debolezza della formazione dei nostri giovani e ancor più degli adulti. Non si tratta di denunciare gli italiani giovani come fannulloni ma di investire di più nel capitale umano, come lo stesso ministro sottolinea.
La nostra debolezza del sistema formativo è quantitativa, anzitutto, perché i livelli di istruzione dei nostri cittadini sono molto lontani dai livelli necessari per l’attuale società della conoscenza. Per esempio, noi abbiamo il 14 per cento di laureati contro il 29 per cento della Francia e il 27 per cento della Germania. All’opposto abbiamo il 44 per cento di italiani solo con la licenza elementare contro il 14 della Germania e il 29 della Francia. Se poi guardiamo ai settori disciplinari noi abbiamo il + 6% di laureati in scienze urbanistiche e – 7 per in scienze matematica, meno 5 per cento in economia etc. Quindi è una debolezza quantitativa e qualitativa.
Questo significa che anche le competenze che sono formate sono molto lontane dalle necessità del mercato del lavoro. Le debolezze che dovremmo curare dipendono anche, molto dal sistema scolastico che, come sottolinea bene Andrea Ichino sul Corriere della Sera, spende male e poco, e dipendono dagli stessi insegnanti, pagati poco e poco motivati anche perché si valorizza più l’anzianità del merito.
Questa è la riforma strutturale da fare se vogliamo avere più persone impiegabili in posti di lavoro qualificati come richiede la nostra economia.
Ma c’è l’altra faccia della medaglia che va sottolineata. Lo skill gap non riguarda solo i lavoratori dipendenti ma anche gli imprenditori e i professionisti, spesso. Per fare impresa nella globalizzazione non bastano le doti “spontanee” dell’industria degli anni Settanta e Ottanta, occorrono conoscenze e apertura sul mondo che molti nostri imprenditori, specie piccoli non hanno.
Ancora, in presenza di questo tipo di economia e di imprenditori poco forniti di consocenze non c’è da stupirsi che il nostro sistema economico sia poco innovativo, come si vede anche dal fatto che sono caduti gli investimenti sia pubblici ma anche privati.
Così si alimenta un circolo vizioso, un’industria povera di cultura che utilizza poco anche i lavoratori che hanno un’istruzione e un potenziale alto. Infatti si stanno vedendo fenomeni di sottoutilizzo delle qualifiche esistenti e di giovani che vanno all’estero.
(Da Europa Quotidiano)

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