Servizi per l’impiego: quell’inspiegabile centralismo dei centri pubblici

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E’ sotto gli occhi di tutti come il brutale colpo di coda della crisi economica che ha attraversato le economie mondiali e l’Europa abbia affossato le speranze occupazionali di milioni di giovani dell’intero vecchio continente. Le cifre diffuse dall’ISTAT sul tasso di disoccupazione della popolazione tra i 15 e i 24 anni del nostro paese svelano dati incresciosi che non riguardano solo il periodo attuale. Mostrano pure che negli ultimi trent’anni non si sia mai fatto abbastanza per dare ai giovani una percezione anche solo immaginaria del proprio futuro.
La Commissione Europea se ne è accorta, proponendo programmi mirati che vanno a supporto di una determinata fascia d’età, ultimo dei quali la “Youth Guarantee” (Garanzia Giovani).
Da noi, invece, si è permesso che il confronto sulla modalità di declinazione della Garanzia Giovani incrociasse inutilmente il tema della sempre opportuna riforma dei servizi all’impiego, il cui destino è indissolubilmente intrecciato a quello delle province.

Nonostante l’eliminazione delle province non riguardi il futuro prossimo, per effetto della sentenza della corte costituzionale, la sorte dei centri pubblici per l’impiego e delle loro strutture continua ad occupare il centro della scena, consentendo così di poter giustamente denunciare il rischio che i fondi della Garanzia Giovani possano finire per finanziare la loro sopravvivenza piuttosto che le vere assunzioni dei giovani.
Per contrastare questa denuncia, sono state già avanzate sottili controdeduzioni degne del miglior professionismo del cosiddetto “combinato-disposto”. Infatti, secondo alcuni, i Centri Pubblici per l’Impiego (CPI) avrebbero l’onere principale di accogliere lo tsunami dei giovani in cerca di occupazione, per effettuare una prima “diagnosi” ed indicare il percorso ed i servizi più adeguati di Garanzia Giovani.

Ci si dovrebbe chiedere se davvero i CPI possano rispondere in modo efficace a tale compito e se veramente ha un senso considerarli l’unico punto di accesso per i servizi al lavoro. Dopo non poche difficoltà, anche di natura ideologica, si è riusciti a creare un sistema duale con cui stimolare una sana competizione tra servizi pubblici e privati autorizzati ed accreditati per la creazione di un mercato del lavoro più efficiente ed inclusivo. Non si riesce davvero a capire perché solo i centri pubblici all’impiego possano fare la cosiddetta accoglienza per il successivo smistamento su altri servizi per il lavoro, anche di natura privata. Se si paventassero eventuali conflitti d’interesse in capo ad un soggetto privato che effettua sia l’accoglienza sia l’erogazione di servizi, forse si dovrebbero cercare soluzioni diverse piuttosto di procedere con vincoli che rischiano di attribuire nuovamente al servizio pubblico funzione di mero contatto burocratico.

È auspicabile che non si intenda fare passi indietro rispetto a quanto fatto negli ultimi dieci anni di non facile transizione. Piuttosto, dovremmo convenire sui principi di immediatezza, efficienza, certezza degli obiettivi e garanzia degli interventi. Per questo, le risorse che Bruxelles intende mettere a disposizione dovranno ineccepibilmente essere utilizzate nell’interesse unico dell’occupazione giovanile attraverso i migliori attori e mezzi che abbiamo a disposizione.

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