Il pensionamento dei dipendenti pubblici. Le novità del decreto Letta

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Marco Proietti
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​Giunge ad un punto di arrivo definitivo la questione relativa al pensionamento dei dipendenti pubblici – quindi anche dei dirigenti – attorno alla quale sono sorte molte questioni interpretative relative all’art. 24, comma 3 e comma 4, della l. 214/2011, che ha determinato il pensionamento automatico di molti dipendenti nel corso degli ultimi due anni.

​La disposizione legislativa richiamata va necessariamente letta in combinato disposto con la circolare ministeriale 12 marzo 2012, n. 23, secondo la quale:
​“Il succitato articolo [ndr. art. 24, D.L. 201/2011 convertito in Legge 214/2011] ha modificato i requisiti di accesso al trattamento pensionistico facendo salvo però il diritto all’applicazione della previgente normativa per il personale che ne abbia maturato i previsti requisiti anagrafici e contributivi entro il 31 dicembre 2011 … il personale suddetto non può optare per l’applicazione dei nuovi limiti anagrafici (66 anni) pur cessando dal servizio dal 2012.
​… secondo le indicazioni contenute nella circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica tutti coloro che hanno maturato i requisiti di cui sopra, entro il 31 dicembre 2011, rimangono soggetto al regime previgente per l’accesso e per la decorrenza del trattamento pensionistico di vecchiaia e di anzianità. Pertanto, tali dipendenti non sono soggetti, neppure su opzione, al nuovo regime sui requisiti di età e di anzianità contributiva, fermo restando che si applica anche a loro il regime contributivo pro-rata per le anzianità maturate a decorrere dal 1.1.2012.
​Ne consegue che per il personale che, alla data del 31 dicembre 2011, ha maturato i requisiti per l’accesso al pensionamento vigenti prima del DL n. 201 del 2011 (sia per anzianità contributiva di 40 anni indipendentemente dall’età, sia per la somma dei requisiti di età e anzianità contributiva – cd “quota”), continuano a valere le condizioni legittimanti al trattamento precedenti e non può trovare applicazione la nuova disciplina che esplica i suoi effetti esclusivamente nei confronti dei dipendenti “che a decorrere dal 1.1.2012 maturano i requisiti per il pensionamento”.
​In poche parole, la circolare ha chiarito che la nuova disciplina stabilita dal Decreto Monti si applica solo ed esclusivamente a chi, alla data del 31 dicembre 2011, non abbia ancora maturato i requisiti per la pensione secondo i precedenti criteri ovvero requisiti anagrafici e contributivi; in quel caso, e solo in quel caso, il dipendente può chiedere di essere collocato a riposo.

​La ratio della norma era di voler salvaguardare il diritto di chi, alla data del 31 dicembre 2011, fosse in possesso dei requisiti pensionistici e volesse – per propria scelta – andare in pensione; una via di uscita, in buona sostanza, lasciata a quei soggetti che hanno l’anzianità di servizio e l’età anagrafica necessarie per il pensionamento. In linea puramente teorica, la norma sembrava richiamarsi a quei soggetti che possono e non devono essere collocati a riposo coattivamente da parte della Pubblica Amministrazione.

​Tuttavia la norma ha lasciato troppi spazi interpretativi ed ha finito con l’essere foriera di numerosi contenziosi promossi da parte di chi – improvvisamente “messo a riposo” – ha poi rivendicato il proprio diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro ed alla massimizzazione dei periodi contributivi.

​In un primo momento era intervenuto il TAR del Lazio con la sentenza 2446/2013 allargando l’applicazione dei nuovi criteri stabiliti dalla legge Fornero anche ai dipendenti pubblici, quindi in linea con l’interpretazione fornita poco sopra: tale decisione aveva poi determinato l’annullamento del provvedimento di pensionamento di un dirigente pubblico “messo a riposo” dalla propria Amministrazione, al compimento dei 65 anni nonostante la richiesta dallo stesso avanza di proseguire sino ai 67 anni, e con disapplicazione della circolare della Funzione Pubblica n. 2/2012.

​Con il Decreto Legge 101/2013 si giunge al termine della questione appena descritta, fornendo un’interpretazione autentica della legge, in controtendenza rispetto alla citata sentenza Tar, e nello specifico l’art. 2, commi 4 e 5, stabilisce in modo definitivo che:
​i) il conseguimento – da parte di un pubblico dipendente – di un qualsiasi diritto a pensione entro il 31 dicembre 2011 comporta obbligatoriamente l’applicazione del regime di accesso (e delle decorrenze) previgenti rispetto all’entrata in vigore dell’art. 24 citato;
​ii) per i lavoratori dipendenti delle pubbliche amministrazioni il limite ordinamentale, previsto dai singoli settori di appartenenza per il collocamento a riposo d’ufficio e vigente alla data di entrata in vigore del decreto-legge stesso, non è modificato dall’elevazione dei requisiti anagrafici
previsti per la pensione di vecchiaia e costituisce il limite non superabile, se non per il trattenimento in servizio o per consentire all’interessato di conseguire la prima decorrenza utile della pensione ove essa non sia immediata, al raggiungimento del quale l’amministrazione deve far cessare il rapporto di lavoro o di impiego se il lavoratore ha conseguito, a qualsiasi titolo, i requisiti per il diritto a pensione.

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