Precari PA: annunci roboanti, ma non cambia nulla

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L’enfasi con la quale Enrico Letta ha presentato le misure di contrasto al precariato pubblico è del tutto ingiustificata, se si va a leggere il contenuto delle nuove norme.

Il decreto legge sul pubblico impiego, infatti, si limita ad una piccolissima modifica dell’articolo 36 del Testo Unico sul Pubblico Impiego.

La norma, nel testo previgente, già stabiliva che le pubbliche amministrazioni potevano utilizzare forme di lavoro flessibile previste dall’ordinamento “per rispondere ad esigenze temporanee ed eccezionali”.

Con il nuovo decreto, viene soltanto specificato che il ricorso ai contratti diversi dal lavoro subordinato a tempo indeterminato è consentito “esclusivamente” in presenza delle predette esigenze temporanee ed eccezionali; di fatto, tra la vecchia e la nuova versione non ci sono differenze.

Nessuna novità neanche nella parte in cui sono ribadite regole già note, come quella che sancisce il divieto di trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato, e quella che fissa il principio per cui i contratti a termine (ed anche quelli di consulenza) stipulati illegittimamente sono nulli, e danno luogo alla responsabilità erariale dei dirigenti che li stipulano (questi perdono anche la retribuzione di risultato).

Poco rilevante anche il divieto per il datore di lavoro pubblico di avvalersi della facoltà di non indicare la causale, introdotta dalla legge Fornero dello scorso anno (legge n 92/2012) e rafforzata dal decreto legge n. 76/2013; è utile specificare il divieto, ma questo era già ricavabile dal testo previgente del citato articolo 36.

C’è da chiedersi se il Presidente del Consiglio, quando annunciava nuove misure contro il precariato pubblico, avesse letto le nuove regole e avesse capito che queste sono uguali alle precedenti.

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