Quel pasticciaccio brutto dell’apprendistato

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Uno strano destino, quasi un sortilegio, perseguita da dieci anni il contratto di apprendistato, vittima di continue scorribande legislative che, salvo rarissime eccezioni, hanno due elementi ricorrenti: nascono con l’intenzione di rendere più semplice l’utilizzo del contratto, ma si risolvono in un enorme pasticcio che mette in fuga le aziende.
E’ successo con la legge Biagi, che pure era molto moderna dal punto di vista della concezione di fondo dell’istituto, ma è scivolata pesantemente sul tema del rapporto tra Stato e Regioni. Si è verificato ancora con i tanti micro interventi legislativi che, dal 2005, hanno provato a tenere insieme un sistema che, strutturalmente, era destinato all’insuccesso, ed è accaduto di nuovo con la legge Fornero, a causa della vistosa disconnessione tra roboanti annunci e scarsità, qualitativa e quantitativa, delle soluzioni.
Il binomio “volontà di semplificazione – risultato di complicazione” rischia di riproporsi, ancora una volta, con le norme del decreto n. 76/2013.
Con il Testo Unico del 2011 è stata finalmente superata la convivenza tra Stato e Regioni nella disciplina dell’apprendistato professionalizzante. Il centro di regolazione dell’istituto è diventato il contratto collettivo, le Regioni hanno perso qualsiasi potestà regolatoria (anche grazie al consenso da loro espresso, in maniera lungimirante, a questa forzatura costituzionale). Dopo la riforma, c’è stato un periodo transitorio di 6 mesi, durante il quale i contratti collettivi hanno dovuto recepire la novità.
Quando ormai il sistema era pronto al decollo del contratto – si ripete, le norme erano semplificate, i contratti collettivi erano stati adeguati – è ripartito il dibattito sulla necessità di “riformare l’apprendistato”.
Si è verificata cosi una situazione incredibile: c’era una riforma appena approvata (il Testo Unico) ma nessuno la considerava, e si invocava un intervento che, nei contenuti, coincideva proprio con il Testo Unico. Questo dibattito paradossale ha prodotto un risultato altrettanto paradossale: la legge Fornero si è aperta con impegni molto ambiziosi (far diventare l’apprendistato il “contratto prevalente” per l’accesso al lavoro dei giovani) ma in concreto ha cambiato pochissimo il quadro normativo.
Nel frattempo, però, si è creato un danno enorme, in quanto sul mercato del lavoro le imprese hanno utilizzato poco il contratto, in quanto erano rimaste in attesa dell’ennesima riforma.
Il risultato di questi continui strappi legislativi è stato paradossale. Se oggi si chiede a un direttore del personale se usa l’apprendistato, questo risponderà che non è convinto, perchè è troppo complesso, e perchè le Regioni hanno un peso eccessivo.
Questa risposta testimonia che, a forza di annunciare semplificazioni, è stato completamente oscurata la riforma del 2011 che, senza particolari grancasse, ha fatto tutto quello che andava fatto per semplificare l’istituto, almeno nella sua versione più comune.
Le norme appena approvate dal Governo rischiano di fare lo stesso danno della legge Fornero, determinando l’ennesimo stop all’utilizzo del contratto, proprio quando il mercato del lavoro dava segni di iniziare a comprendere l’apprendistato.
Questo rischio non è bilanciato dalla qualità o dal contenuto delle nuove norme che, invece, sono in gran parte inutili oppure ridondanti.
Il rischio di fuga dall’apprendistato è accentuato dalla norma che riconosce incentivi economici pari ai contributi previdenziali a chi assume giovani di età non superiore a 29 anni: questa disposizione, con tutta evidenza, si sovrappone agli strumenti di incentivazione che accompagnano l’apprendistato, senza che dietro ci sia un disegno razionale di politica del lavoro.
Un altro problema che affligge le norme del decreto n. 76/2013 consiste nella temporaneità e nell’ambito di applicazione. Tali disposizioni, infatti, dovrebbero valere solo fino al 1 dicembre del 2015, e solo per alcune categorie di aziende (microimprese, e piccole e medie imprese (che dovranno essere individuate con i criteri contenuti nella raccomandazione della Commissione Europea del 6 maggio 2003). Questa doppia delimitazione renderà ancora più precario e incerto il quadro normativo, perchè le aziende dovranno di volta in volta andare a cercare dentro quale casella si devono collocare per utilizzare il contratto.
Infine, il decreto n. 76/2013 rischia di avere qualche problema con il riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni. Il Testo Unico del 2011 è arrivato al grande risultato di concentrare tutta la potestà normativa in materia di apprendistao nel contratto collettivo, dando alle Regioni un ruolo marginale, solo grazie al senso di responsabilità di queste ultime, che hanno dato il proprio assenso preventivo al nuovo sistema. Il decreto n. 76 si dimentica questo aspetto e prevede un sistema che rinvia alla Conferenza Stato Regioni, ma di fatto rende questo passaggio solo formale. Qualche problema dal punto di vista costituzionale potrebbe esserci.

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