Quando si fa un decreto legge per sostituire una “e” con una “o”. Il vizio antico del formalismo nella mini riforma del lavoro a progetto

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Le modifiche introdotte dal decreto n. 76/2013 alla disciplina del lavoro a progetto confermano che il legislatore italiano è vittima di un inguaribile formalismo. Illudersi che la sostituzione di una vocale (la “e” al posto della “o”) possa avere un qualche effetto significativo sulla gestione concreta del contratto è la spia di questo problema. E’ vero, con la nuova norma scompare il divieto espresso di utilizzo del contratto per mansioni che siano solo ripetitive oppure solo esecutive, e tale divieto diventa applicabile solo in presenza di entrambe queste condizioni. Quello che non dice il legislatore, e che invece sanno tutti quelli che quotidianamente devono gestire il contenzioso sul lavoro a progetto, è che tale divieto esiste da tanti anni nel diritto vivente, e quindi non cambierà nulla in concreto, anzi, le imprese prenderanno più rischi del dovuto. Il formalismo caratterizza anche la norma che trasforma l’indicazione del progetto in un elemento essenziale del contratto, quando prima era richiesta solo ai fini di prova. Il punto massimo del formalismo viene, tuttavia, raggiunto con l’estensione della procedura di convalida delle dimissioni ai casi di recesso dal rapporto di collaborazione. Questa norma conferma, inoltre, l’eterno ed irrisolto equivoco del lavoro a progetto, che non è lavoro subordinato, ma tende ad assomigliargli sempre di più. Malattia, ammortizzatori sociali, compenso minimo, ferie, dimissioni, sicurezza sul lavoro, ecc. Tutti gli istituti tipici del lavoro dipendente stanno piano piano transitando nel campo del lavoro parasubordinato, seppure in forma attenuata e meno garantistica per i lavoratori. Con il risultato che, dietro il nobile intento di dare tutele alle persone che, dietro lo schermo contrattuale, sono sostanzialmente dei dipendenti, si finisce per creare un lavoro subordinato “di serie b”. Nel decreto lavoro manca, poi, qualsiasi intervento sul progetto, elemento che ha fallito nella missione di reprimere gli abusi. Con un pò di coraggio, si poteva provare ad imboccare una strada diversa, sostituendo il progetto con limiti oggettivi (durata massima del rapporto). Ma una soluzione del genere sarebbe stata troppo poco formalista per fare breccia nella mente del nostro legislatore.

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