Il decreto lavoro (n. 76/2013) ha modificato le condizioni che, sulla base della legge Fornero dello scorso anno, consentono di non apporre la c.d. causale al momento della stipula del contratto. Secondo le norme del decreto, l’esenzione da questo obbligo segue due possibili strade. La prima strada è definita in maniera completa dalla legge: la causale non si applica ai contratti a termine che hanno una durata non superiore a 12 mesi, a condizione che tra le parti non siano intercorsi rapporti precedenti. La legge Fornero vietava la proroga di questo contratto, mentre il decreto n. 76 ha ammesso questa possibilità. L’innovazione apre due problemi interpretativi. Il primo riguarda la durata della proroga: è da ritenere che il tetto dei 12 mesi valga per l’intero rapporto (periodo iniziale più eventuale proroga), ma la legge sul punto non dice nulla. Il secondo problema riguarda la necessità di giustificare la proroga con una causale. La regola generale in materia, che il decreto lavoro non cancella, prevede infatti la necessità di indicare le “ragioni oggettive” che inducono il datore di lavoro a spostare il termine finale del rapporto. Tuttavia, la volontà del legislatore è quella di consentire la proroga senza causale, altrimenti l’innovazione avrebbe poco senso; ma allora sarebbe opportuno, in sede di conversione, chiarire meglio questo aspetto.
La seconda strada che può condurre all’esenzione dalla causale è quella dell’intervento delle parti sociali (invocata ieri dallo stesso Ministro Giovannini, sul tema dei contratti collegati all’Expo). Secondo il decreto lavoro, la causale non si applica in tutte le ipotesi previste dai contratti collettivi nazionali o aziendali, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Anche la legge Fornero dava spazio alla contrattazione collettiva, ma questo rinvio era soggetto a vincoli quantitativi (era fissato un limite del 6 per cento del totale dei lavoratori occupati) e qualitativi (i contratti dovevano riguardare specifici processi organizzativi). Il decreto n. 76 amplifica lo spazio di intervento dei contratti collettivi, che potranno definire le ipotesi di esenzione dalla causale senza dover rispettare paletti quantitativi o di materia. Anche i limiti previsti per la fattispecie generale (12 mesi, primo contratto) non sembrano automaticamente applicabili a questa ipotesi, in quanto la norma configura le due strade come autonome e concorrenti, che potranno coesistere seguendo regole proprie e diverse.
L’unico requisito che dovranno rispettare le intese (nazionali o aziendali) in materia è quello della rappresentatività: gli accordi, infatti, dovranno essere stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Sempre in tema di causale, il decreto lavoro, risolvendo un dubbio giurisprudenziale, precisa che i contratti a termine stipulati con i lavoratori iscritti nelle liste di mobilità non sono soggetti a tale obbligo.
La contrattazione collettiva diventa protagonista anche della nuova disciplina del c.d. stop and go, l’obbligo di rispettare un intervallo di tempo tra la fine di un contratto a termine e la stipula di un nuovo rapporto. Il decreto lavoro, azzerando il discusso intervento della legge Fornero, riporta questo intervallo a 10 giorni (20, se il precedente contratto ha avuto una durata superiore a 6 mesi), e lo cancella per le attività stagionali. La contrattazione collettiva può definire i casi nei quali l’intervallo minimo non si applica. Questo potere di intervento sembra avere uno spazio vincolato, nel senso che le parti sociali potranno disattivare lo stop and go, mentre non sembra esserci spazio per una sua riduzione o un suo allungamento.
Il risultato complessivo delle nuove nome è in chiaroscuro. La riduzione dei vincoli in tema di indicazione della causale risponde all’esigenza di semplificare le regole e ridurre il contenzioso, oggi molto pesante, generato da questo adempimento. Questa esigenza viene, tuttavia, soddisfatta solo in parte, in quanto la normativa resta caratterizzata da un alto livello di complessità.