Disabili, per la Corte di Giustizia l’Italia è inadempiente

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La Corte di Giustizia Europea ha dichiarato l’illegittimità della legislazione italiana in materia di inserimento lavorativo dei disabili, nella parte in cui non questa non contiene misure sufficienti a garantire in maniera effettiva il diritto al lavoro di questi cittadini. Secondo la Corte di Giustizia, dalla direttiva comunitaria n. 2000/78 risulta che gli Stati membri devono obbligare i datori di lavoro ad adottare provvedimenti efficaci e pratici per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo, di avere una promozione o di ricevere una formazione (la Corte fa anche alcuni esempi, come la sistemazione dei locali, l’adattamento delle attrezzature e il ripensamento dei carichi di lavoro).

Questo obbligo, prosegue la Corte, deve essere esteso verso tutti i datori di lavoro, con il solo limite della proprozionalità, non potendosi imporre misure troppo gravose rispetto alle caratteristiche di chi assume.

In tale quadro, prosegue la sentenza, per dare completa attuazione agli impegni comunitari non basta che uno Stato Membro disponga misure pubbliche di incentivo e di sostegno al lavoro dei disabili, ma deve anche essere previsto un obbligo per i datori di lavoro, ben più specifico, di adottare provvedimenti efficaci e pratici, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, a favore di tutti i disabili, che riguardino i diversi aspetti dell’occupazione e delle condizioni di lavoro e che consentano a tali persone di accedere ad un lavoro, di svolgerlo, di avere una promozione o di ricevere una formazione.

Tale impegno, secondo la Corte, non è attuato da nessuna delle leggi che, nell’ordinamento italiano, regolano il lavoro dei disabili. Non è attuato dalla legge n. 104/1992, la quale pur prevedendo che l’inserimento lavorativo e l’integrazione sociale dei disabili siano realizzati tramite misure che consentano di favorire il loro pieno inserimento nel mondo del lavoro, non impegna le aziende ad adottare provvedimenti efficaci e pratici, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, a favore dei disabili.

Allo stesso modo, l’impegno è disatteso dalla legge n. 381/1991, che contiene norme relative alle cooperative sociali, dal Testo Unico Sicurezza sul lavoro (d.lgs. n. 81 del 2008) che si occupa solo di aspetti particolari, e e dalla legge n. 68/1999, la quale ha lo scopo esclusivo di favorire l’accesso all’impiego di alcune categorie di disabili, senza adottare le necessarie misure generali.

La Corte giudica, quindi, incompleta la legislazione italiana, in quanto questa non impone all’insieme dei datori di lavoro l’obbligo di adottare, ove ve ne sia necessità, provvedimenti efficaci e pratici, capaci di soddisfare le esigenze concrete di tutti i disabili che lavorano e, in particolare, idonee a consentire a tali persone di accedere ad un lavoro, di svolgerlo, di avere una promozione o di ricevere una formazione. Tutto questo, secondo la Corte di Giustizia, manca nella legislazione italiana, con la conseguenza che lo Stato viene riconosciuto responsabile del mancato adempimento (per mancata trasposizione) dell’articolo 5 della direttiva 2000/78.

Considerato che la Corte denuncia una lacuna interna, la sentenza comporta l’obbligo per il nostro legislatore di colmare tale carenza, rivedendo nel suo complesso la normativa sul lavoro dei disabili ed adottando quelle misure elencate dalla sentenza.

Giampiero Falasca, Il Sole 24 Ore, 5 luglio 2013

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