Mauro Soldera
Da tempo si discute molto dello scarso ricorso al contratto di apprendistato nel nostro Paese.
Affossato per diversi anni dalla disciplina a dir poco tortuosa della Biagi, semplificato nel 2011 dal Testo Unico, ma senza un significativo e positivo impatto occupazionale, ritoccato con geometria variabile dalla Fornero (un po’ agevolato, un po’ aggravato).
In ragione di queste difficoltà, e della ritenuta centralità dell’istituto, negli ultimi mesi il dibattito sul da farsi per sollecitarne l’utilizzo è stato ampio.
Il Governo, per mano del Decreto Legge 76/2013 (in Gazzetta Ufficiale lo scorso venerdì 28) – probabilmente ascoltando le considerazioni di “Lavoro e Impresa” – ha deciso che la via migliore per intervenire sul tema fosse di non fare nulla.
Ciò almeno a volersi concentrare sulle novità specificamente dedicate all’istituto:
l’art. 2 prevede che la Conferenza Stato-Regioni entro il 30 settembre c.a. adotti delle linee guida per rendere più uniforme sul territorio nazionale l’offerta formativa pubblica, potendo intervenire su tre piani: 1) piano formativo obbligatorio solo per la formazione professionalizzante; 2) sblocco nella adozione del libretto formativo; 3) possibilità per le imprese “multi localizzate” di fare riferimento alla disciplina della regione in cui si trova la sede legale.
Qualche semplificazione, di impatto limitato se non nullo (anche considerando che il punto 3) poteva considerarsi questione superata); cosa che induce ancor di più a chiedersi per quale motivo l’intervento sia definito come straordinario, temporaneamente applicabile (fino al 31.12.2015) e solo per le micro, piccole e medie imprese.
L’art. 9 (comma 3) disciplina la possibile successione (definita “trasformazione”) tra l’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale e l’apprendistato professionalizzante, prevedendo che il tempo impiegato nella prima forma si sottragga al periodo massimo previsto dalla contrattazione per il secondo (questa pare l’unica ricostruzione possibile dove il testo parla di “durata … individuata dalla contrattazione collettiva di cui al presente d.lgs.”).
Anche in questo caso – almeno in questi primi ragionamenti – non pare di essere di fronte ad una novità capace di portare uno stimolo significativo allo sviluppo dell’istituto; non foss’altro che per il fatto che l’apprendistato per la qualifica ed il diploma rappresenta nei numeri una realtà ancora meno rilevante del professionalizzante. Aggiungerei che, probabilmente, la riduzione complessiva della durata potrebbe rappresentare un disincentivo per le aziende, diminuendo l’impatto dei benefici economici.
Tutto qui, almeno in via diretta.
In via indiretta già ci si chiede quali impatti (negativi) potrà avere l’introduzione dei benefici economici a favore delle stesse fasce di età contemplate dall’apprendistato professionalizzante (art. 1 DL 76/2013).
E’ vero che un’analisi odierna del Sole 24 Ore identifica il contratto di apprendistato come il portatore dei maggiori sgravi, anche rispetto alla nuova misura; vero altrettanto che la nuova previsione si riferisce a giovani in condizione di svantaggio (privi di impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi o privi di diploma o che vivano soli con persone a carico); vero infine che il beneficio avrà una durata inferiore rispetto alla durata massima (possibile) dell’apprendistato…
La questione però sussiste a mio parere; ancor di più se si pensa che il reale ostacolo ad un ricorso più consistente all’apprendistato sta nella desuetudine e nello scetticismo creato da 8 anni di dannosi impedimenti burocratici, che le semplificazioni del T.U. non sono state in grado di superare. Su questo punto, vale a dire sulla creazione di presupposti concreti per l’accompagnamento delle imprese verso la stipulazione del primo contratto di apprendistato (agilmente possibile a regole invariate), il Decreto fa poco o nulla; inevitabile pensare che – anche al netto della maggiore confusione creata dalla sovrapposizione normativa – la via semplice dell’assunzione con richiesta di incentivo possa risultare più appetibile. Utile, certo, di fronte all’emergenza occupazionale, ma a minor contenuto qualitativo.