Semplificare o morire. Giovannini batti un colpo.

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Il prossimo decreto sul lavoro del Governo potrà avere un impatto positivo sul mercato solo se sarà affrontato con decisione il tema della semplificazione.
Si tratta di un argomento difficile, per tanti motivi. A livello teorico e generale, sono tutti d’accordo sulla necessità di semplificare le regole, in particolare quelle del lavoro. Il problema nasce quando dalla teoria si passa alla pratica. Negli ultimi anni tante volte il legislatore ha provato a semplificare una o più parti dell’ordinamento, ma il risultato non sempre è stato quello voluto, tanto che qualche commentatore acuto ha evidenziato che bisognerebbe semplificare la semplificazione.
Un esempio molto recente di questo problema è la norma sugli appalti contenuta nel “decreto del fare”. Il Governo ha perseguito l’intento, condivisibile, di semplificare il regime di responsabilità dei committenti, ma il risultato non può dirsi raggiunto: anche dopo la modifica, infatti, sono rimasti in vita quattro o cinque differenti regimi di responsabilità solidale, che si sovrappongono tra loro secondo logiche oscure.
La semplificazione, quindi, può dare una scossa importante, ma solo se viene perseguita in maniera efficace: non bisogna passare da una procedura all’altra, ma bisogna ridurre il numero complessivo e la portata di quelle che esistono, e renderle più facili da applicare.
Il lavoro soffre di questo problema in maniera importante. Per invertire questa tendenza, bisogna avere il coraggio di intervenire sui grandi temi, sfuggendo dalla tentazione di toccare solo aspetti marginali. La sfida principale riguarda, innanzitutto, i contratti di lavoro.
La causale del contratto a termine non difende nessuno (il diritto del lavoratore a non restare precario a vita è tutelato, con maggiore efficacia, dal limite di durata massima di 36 mesi) ma crea solo contenzioso, e rischia di spingere i datori di lavoro verso contratti meno regolari. Basterebbe cancellare con un tratto di penna questo onere, per impedire l’avvio di migliaia di cause future, e ridare al mercato uno strumento contrattuale capace di limitare il lavoro irregolare (e così anche per la somministrazione di manodopera).
Se invece si scegliesse di mantenere in vita la causale, ampliando solo i casi in cui questa non si applica (nella logica già sperimentata dalla legge n. 92/2012), non si potrebbe parlare di semplificazione, perché comunque resterebbe in piedi un sistema di regole ed eccezioni che, per essere applicato, richiederebbe un’intermediazione legale. Sempre nell’ottica di rendere più semplici le regole del lavoro, sarebbe utile impostare (anche mediante una legge delega) una profonda revisione delle procedure burocratiche e contrattuali che appesantiscono inutilmente la gestione dei rapporti di lavoro.
Lo spazio di intervento, da questo punto di vista, sarebbe molto ampio: gli oneri di comunicazione del lavoro intermittente, le regole sui rinnovi del contratto a termine, le complicatissime presunzioni di subordinazione del lavoro a progetto e delle partite iva, e così via.
Tutte queste regole stanno trasformando la gestione del personale in un tema di competenza degli avvocati e dei consulenti del lavoro, generando un importante aggravio di costi e, soprattutto, facendo perdere competitività al nostro ordinamento, sempre meno capace di attirare investimenti.

Giampiero Falasca, Il Sole 24 Ore, 24 giugno 2013

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