Se il giudice considera una goliardata dare della “puttana” a una collega.

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Insulto libero. Il Tribunale di Roma (sent. 9 maggio 2013) annulla il licenziamento di un quadro che, per punire una dipendente che non seguiva alcune sue direttive (a quanto pare, illecite), le aveva mandato un file excel nel quale erano messi in ordine i cognomi dei colleghi, in modo da far uscire la parola “puttana”.  Tutto questo avveniva nel quadro di pressioni quotidiane, dirette anche ad altri colleghi, accusati di scarsa produttività. Il Giudice del lavoro ha annullato il licenziamento sostenendo che il messaggio era animato da un “malinteso spirito goliardico”.

E’ una decisione sconcertante, che darà voce a quelli che – con modi spesso eccessivi – lamentano l’irragionevole lassismo dei giudici del lavoro.

La decisione è ancora più grave perché il giudice usa considerazioni formali volte a cancellare il peso dei fatti: il messaggio che ne viene fuori è che non importa quale che sia il comportamento di un dipendente, quello che conta è la forma, e se questa non corrisponde agli standard che ha in mente il giudice, non si può licenziare.

Per sua fortuna, il giudice di Roma non ha trovato di fronte a se quel mitologico avvocato napoletano che ebbe a subire per un suo cliente una decisione simile. Di fronte al Giudice del lavoro che aveva reintegrato un dipendente, sostenendo che il “vaffa” pronunciato  verso il proprio superiore non era poi così grave, questo avvocato, dopo un momento di silenzio, fissò il giudice negli occhi  e gli disse “Con rispetto parlando giudice, appreso della non gravità del fatto, mi prenderei la libertà di mandarla aff….”.

 

 

2 comments

  1. Il mio commento e’ poco giuridico ma mi chiedo se il giudice in questione si sarebbe espresso allo stesso modo se il ‘malinteso spirito goliardico’ avesse avuto come destinatario sua moglie o sua figlia……

  2. Non ritengo giusto trarre delle conclusioni senza conoscere bene la vicenda, messa così la cosa è volutamente ad effetto ma può darsi che il giudicante abbia (legittimamente) valutato complessivamente il comportamento del quadro come non sufficientemente grave da giustificare un licenziamento.
    Insulti e “goliardate” non sono così infrequenti sul posto di lavoro, e grandi licenziamenti in merito non se ne vedono: tutto sta a vedere se l’accaduto non fosse un pretesto per eliminare il quadro in questione (oppure le la signora non fosse l’amante di qualche capo, da cui è andata a lamentarsi , oppure … oppure …). Il quadro che ha un atteggiamento “deterrente” verso una lavoratrice “scarsamente considerata” dai … capi del quadro, riceve un bonus e non un licenziamento (sia detto senza filtri, personalmente sono per un’altra qualità dei rapporti di lavoro) .

    Sul lassismo dei giudici del lavoro, concordo in linea di massima, in quanto mi sembra che la tesi del licenziamento come “extrema ratio” sia stata trascinata in Italia ai livelli più estremi, con perdita del senso comune e della dignità e produttività del lavoro.
    Questa osservazione non contrasta con la precedente: il licenziamento resta una cosa molto seria e da trattare con profondità, senza indulgere a facili pretesti e senza – all’opposto – arrivare all’attuale conclamata impossibilità ( o estremissima difficoltà) di licenziamento.

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