Mauro Soldera
Da più parti si legge e si ascolta che il prossimo Expo 2015 dovrebbe rappresentare l’occasione per sperimentare una migliore e più ampia flessibilità nel mercato del lavoro.
Bene, ma posta in questi termini pare una battaglia di retroguardia condizionata da un atteggiamento remissivo, privo del coraggio necessario ad affrontare la complessità e la gravità della situazione (economica e di conseguenza del lavoro)
Non si tratta di tifare per il partito della precarietà o di auspicare che i costi della crisi ricadano esclusivamente sui lavoratori (oltre a quanto di fatto già succede); ed in questo senso le analisi che indicano per i lavoratori flessibili uno stipendio inferiore del 25% è un dato da tenere in grande considerazione e da contrastare.
Ma la realtà che ci sta di fronte (nel presente attuale e nelle sue tendenze di ulteriore declino) deve smuovere un atteggiamento pragmatico ed a respiro più ampio rispetto a qualche piccola sperimentazione in occasione di un evento particolare e territorialmente circoscritto, per quanto importante.
Occorre chiedersi – anche con “severità” – a cosa siano servite petizioni di principio (“Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro” art. 1 comma 01 D.Lgs. 368/01) o meccanismi di assunzione imposta (se il contratto a termine superi i 36 mesi) di fronte alla realtà dei dati che mostra come la stragrande maggioranza dei nuovi contratti sia a termine. Occorre avere come riferimento costante il numero dei senza lavoro, mirando all’obiettivo primario di consentire l’occasione di UN lavoro.
Senza alcun tifo, la flessibilità, l’intermittenza del lavoro è condizione sempre più diffusa, una realtà oggettiva.
Partendo da questo presupposto già attuale, la sfida che ci si pone davanti appare un’altra, dai confini decisamente più ampi, a cui altrettanto ci affacciamo con ritardo e finora senza vera e generale intensità.
Di fronte al lavoro intermittente, la sfida è quella di non rinunciare ad un principio imprescindibile, quello che potrei chiamare della “cittadinanza non intermittente”, a tempo indeterminato; con a corollario la necessità di ragionare (ed agire) su come dare corpo a questo principio, in ogni fase della vita.
Significa ripensare ad una filiera, ad un complesso organico e continuo di servizi alla persona, di cui i servizi per l’impiego sarebbero parte di un tutto più ampio.
I temi sono evidenti:
– nell’ambito del periodo scolastico, anche in una efficiente e continua alternanza col lavoro oltre che nella capacità di conoscere il territorio produttivo e fornire orientamento perché il passaggio al lavoro sia fluido
– nella conciliazione famiglia-lavoro, argomento chiave, che potrebbe liberare l’immensa risorsa rappresentata dalle donne (negli ultimi 50 anni l’occupazione creatasi in Italia è interamente dovuta all’incremento del numero di donne al lavoro)
– nel difficile momento di ingresso nei primi lavori e di creazione della professionalità e delle competenze (e della loro certificazione)
– durante il lavoro, con soluzioni – per fare solo un esempio – che permettano il superamento della condizione di “flessibilità asimmetrica” che oggi affligge il lavoratore a termine di fronte a tutti i servizi che non gli sono accessibili in ragione della condizione lavorativa
– nella realizzazione di un insieme efficiente, misurato ed articolato di politiche attive nel periodi di non lavoro
– nell’accompagnamento all’uscita dal lavoro e nel periodo di riposo
– …
Ognuno di questi temi, rapidamente accennati, genera la necessità di soluzioni molteplici, innovative, finora sperimentate solo in un minima parte e normalmente fuori sistema, senza continuità e regia, con dispersione di risorse economiche e di conoscenza.
In ognuno di questi temi gli spazi su cui intervenire sono enormi. Ed ognuno potrebbe rappresentare uno spazio per nuove ed innovative iniziative economiche, in cui il raccordo e la sinergia tra il pubblico e il privato rappresenta una soluzione imprescindibile; anche solo per il fatto che le sfide sono tante e così impegnative che ogni risorsa merita di essere movimentata, trovando la migliore soluzione con al centro la persona.
(Letture consigliate: Welfare: dalla crisi alle opportunità – Monografie AREL, Marzo 2013)