I numeri non mentono: nei dati ISFOL il fallimento della riforma Fornero

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Gianni Bocchieri

L’ISFOL ha pubblicato il cosiddetto secondo monitoraggio della Riforma Fornero. In verità, come era stato per il primo, si tratta in di una mera analisi della dinamica degli avviamenti dei contratti di lavoro ricavate dal sistema informativo sulle comunicazioni obbligatorie del Ministero del Lavoro. Solo che l’ex Ministro Fornero teneva così tanto a dimostrare che l’andamento negativo del mercato del lavoro non fosse imputabile alla sua riforma, da chiedere all’ISFOL di presentare un’analisi dei dati amministrativi, come fosse il monitoraggio degli effetti della legge, senza approfondire altre variabili.

È di tutta evidenza che il sistema delle comunicazioni obbligatorie consente la fruizione di dati molto freschi e molto utili per le analisi sul mercato del lavoro. Tuttavia, potrebbe essere improprio presentare queste analisi come quella verifica dell’andamento del mercato del lavoro prevista dalla stessa riforma Fornero.

Il neo ministro Giovannini ha usato i dati di questo secondo report dell’ISFOL per sostenere che le correzioni alla riforma Fornero devono essere fatte con attenzione, soprattutto ora che sembrerebbe dare luogo a primi effetti positivi.

Il rapporto evidenzia che nel quarto trimestre del 2012 si è sostanzialmente arrestata la forte riduzione delle nuove assunzioni registrata nella parte centrale dell’anno. Inoltre, evidenzia un aumento del 3,7% delle assunzioni con contratto a tempo determinato, un calo del 9,2% dei contratti di collaborazione e una flessione del 22,1% del lavoro intermittente. Mentre segnala che l’attivazione di contratti a tempo indeterminato è  diminuita del 5,7%, in linea con l’andamento congiunturale fortemente negativo. L’ISFOL evidenzia che la quota di avviamenti realizzati attraverso contratti a tempo determinato è salita dal 62,1% al 66,8%, rispetto all’inizio del 2012. È interessante notare che l’aumento ha riguardato soprattutto i contratti di durata compresa tra i 4 e i 12 mesi, mentre sono diminuiti quelli a durata massima trimestrale. Infine, relativamente alle cessazioni, il rapporto evidenzia che sono aumentate dello 0,6%.

Sinceramente, si fa fatica a intravedere in questi dati le prove di effetti positivi dell’ultima riforma del lavoro. In sostanza, l’ISFOL ravvedrebbe quali effetti positivi della Riforma Fornero la ripresa dell’attivazione dei contratti di lavoro, seppure a termine. Come a dire: non è vero che la riforma Fornero ha aumentato la rigidità della flessibilità in entrata a tal punto da scoraggiare le assunzioni. Anzi, sostiene l’ISFOL che la riforma Fornero ha scoraggiato l’instaurazione di contratti a tempo determinato di breve durata e ha determinato la flessione degli avviamenti con contratto di collaborazione a progetto, a causa dei maggiori vincoli imposti dalla riforma, la quale esclude la possibilità di stipulare contratti di lavoro a progetto per lo svolgimento di mansioni esecutive o ripetitive simili a quelle del lavoro dipendente.

Le affermazioni dell’ISFOL sono sicuramente fondate. Tuttavia, non si può dimenticare che il refrain della Fornero era il contrasto della cosiddetta precarietà. Da questo punto di vista, l’aumento del tasso di incidenza delle assunzioni a tempo determinato e la riduzione di quello a tempo indeterminato non sembrano deporre per le tesi dell’ex Ministro. Inoltre, l’aumento del ricorso ai contratti a tempo determinato non è sicuramente la prova che la riforma Fornero funziona. Ciò che in realtà continua a mancare sono interventi di tutela dei lavoratori per i periodi di discontinuità lavorativa, interventi di promozione delle politiche attive e interventi di riforma dei servizi al l’impiego.

Insomma, la speranza è che non ci si incastri in atteggiamenti di accanimento terapeutico e che si modifichi la riforma Fornero senza se e senza ma.

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