Apprendistato, la cura è semplice: non fare nulla

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Il dibattito sulle possibili modifiche da apportare alla disciplina del contratto di apprendistato è viziato da troppi luoghi comuni. Il primo luogo comune è che il contratto sarebbe difficile da usare.

Si tratta di un’affermazione che affonda le sue radici nei disastri creati nell’ultimo decennio dalla combinazione perversa della legge Biagi con le norme regionali e i contratti collettivi; questa situazione, che ha portato alla sostanziale paralisi nell’utilizzo del contratto, ha lasciato in tutti i datori di lavoro un atteggiamento di diffidenza, che può essere comprensibile ma è ormai anacronistico.
Con il Testo Unico del 2011, la forma più comune di apprendistato, quello professionalizzante, è diventata molto semplice da usare: l’unico adempimento aggiuntivo, rispetto a un contratto di lavoro ordinario, che deve essere rispettato in sede di stipula dell’accordo consiste nella stesura del piano formativo, che deve essere conforme a quanto prevedono i contratti collettivi, senza la necessità di dover applicare anche eventuali norme regionali.
Dopo la firma del contratto, l’azienda deve applicare il piano formativo, erogando la formazione con modalità molto più semplici del passato (si può fare tutto in azienda, non c’è un monte ore annuo di 120 ore); inoltre, se il datore ritarda nell’erogazione della formazione, è sanzionabile solo quando l’inadempimento è molto grave, e solo dopo essere stato “ammonito” dai servizi di vigilanza con il provvedimento di prescrizione, come ha precisato di recente il Ministero del lavoro. Questo non vuole dire che per l’apprendistato professionalizzante non ci sia spazio per qualche semplificazione. Ad esempio, la regola introdotta dalla legge 92/2012 circa l’obbligo di stabilizzare un numero minimo di apprendisti, sta creando notevoli problematiche gestionali (bisogna introdurre complicati sistemi di calcolo e monitoraggio) e i consueti dubbi interpretativi (come si coordina la norma di legge con i ccnl che già fissavano impegni simili? Come calcolano le Agenzie per il lavoro la percentuale?). Se si decidesse di tornare alla versione originaria del Testo Unico, che non prevedeva questo complicato impegno, sicuramente si farebbe un passo verso la semplificazione. Un altro chiarimento utile sarebbe quello sulla durata; molte imprese sono spaventate dalla necessità di stipulare contratti triennali, sarebbe utile chiarire che le durate fissate dai contratti collettivi sono tetti massimi, suscettibili di essere ridotti.
Piccole modifiche, insomma. In attesa che le imprese imparino a gestire il contratto e scoprano che questo è ormai semplice; sarebbe invece sbagliato cadere nella tentazione di approvare l’ennesima riforma, perchè aumenterebbe solo la confusione su un contratto – forse l’unico – che non ha bisogno di semplificazioni ma solo di conoscenza.

2 comments

  1. Occorre lavorare sulla diffidenza e sulla disabitudine ad utilizzare lo strumento. Occorrerebbe una campagna volta ad accompagnare l’azienda nella prima esperienza di apprendistato. Nulla di normativo, tanto buon senso e l’impegno delle istituzioni e dei privati a far conoscere la fattibilità concreta dell’apprendistato, azienda per azienda

  2. A me non pare sia così libero.
    Prendiamo, ad esempio, il CCNL Commercio:prevede la durata dell’apprendistato per livello e non intende minima dato che poi specifica che le Associazioni imprenditoriali e le Organizzazioni sindacali territoriale possono realizzare intese diverse; per la formazione prevede almeno 120 ore per anno.

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