Vincono sempre i baroni: per la Consulta il ricambio generazionale non è una priorità

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La Corte Costituzionale è un organo di importanza vitale nella nostra mutevole democrazia, in quanto evita pericolose derive legislative ed assicura un controllo costante del rispetto dei principi della nostra Costituzione. Lungi da noi, quindi, la volontà di mettere in discussione la Suprema Corte. Ma quando sbaglia, non possiamo fare a meno di mettere in evidenza l’errore.
E’ successo pochi giorni fa con la sentenza (n. 83/2013) che ha riscritto le norme sul pensionamento (legge 250/2010, art. 25) dei ricercatori e professori universitari.
Nel 2010 viene stabilito per legge un principio sacrosanto: i professori, arrivati a 70 anni, non possono chiedere di restare in servizio per altri 2 anni, ma devono andare in pensione.
Sacrosanto perchè serve a garantire il ricambio generazionale, consentendo ai più giovani di accedere all’insegnamento; ma per la Corte, questa esigenza non basta a giustificare la disparità di trattamento con gli altri dipendenti pubblici.
La norma è arrivata alla Corte sulla base di un’azione avviata dal Consiglio di Stato, che ha sollevato il dubbio circa il possibile contrasto con gli artt. 3, 33 e 97 della Costituzione, in quanto la deroga introdotta per i professori rispetto alla disciplina generale sarebbe in primo luogo irragionevole, perché non sorretta da adeguata ragione giustificatrice, e, comunque, sproporzionata rispetto alla finalità perseguita.
Sempre secondo il Consiglio di Stato, la norma sarebbe lesiva sia del principio di buon andamento dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.), sia del principio dell’autonomia universitaria (art. 33, sesto comma, Cost.), nella misura in cui priva le università di ogni potere di valutazione in ordine alla possibilità di accogliere le istanze di trattenimento in servizio presentate dal personale docente, anche qualora tale prolungamento risulti funzionale a specifiche esigenze organizzative, didattiche o di ricerca.
La Corte Costituzionale, come detto, ha considerato fondate le questioni, ritenendo che la norma non è sorretta da ragioni idonee a giustificare, per la sola categoria dei professori e ricercatori universitari, l’esclusione dalla possibilità di avvalersi del trattenimento in servizio previsto per gli altri lavoratori.
La Corte esclude che tale ragioni possa consistere nelle esigenze di contenimento finanziario e razionalizzazione della spesa pubblica, in quanto la norma interessa un settore professionale numericamente ristretto, perciò inidoneo a produrre significative ricadute sulla finanza pubblica, e comunque preclude alle amministrazione la possibilità di utilizzare esperienze professionali ancora valide.
Infine, la Corte osserva che la norma non può trovare giustificazione neanche sull’interesse al ricambio generazionale del personale docente, in quanto questo deve essere bilanciato con l’esigenza di mantenere in servizio docenti in grado di dare un positivo contributo per la particolare esperienza professionale acquisita.
Insomma, il ricambio generazionale non è una priorità: un messaggio dirompente, in un Paese dove la classe dirigente non cambia mai, fatica a riconoscere il merito ed è chiusa verso l’arrivo di forze fresche.

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