Maternità: non si può penalizzare la dipendente che dimentica di inviare il certificato

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Ai sensi del Testo Unico Maternità e Paternità le lavoratrici gestanti devono obbligatoriamente assentarsi dal lavoro per un periodo che va dai 2 mesi antecedenti alla presunta del parto, sino alla fine del terzo mese successivo alla nascita effettiva del bambino (c.d. astensione obbligatoria).

La legge lascia alla donna uno spazio di flessibilità nel godimento di tale periodo: è possibile prolungare il lavoro sino all’ottavo mese di gravidanza, fruendo di un mese di astensione in più nel periodo successivo al parto. La prosecuzione del lavoro è concessa solo in presenza di un parere positivo del servizio sanitario nazionale e del medico aziendale competente, che devono attestare l’assenza di rischi.

Una volta autorizzata la prosecuzione del lavoro, il datore di lavoro non eroga più la retribuzione e l’Inps paga l’indennità di maternità.

Se la lavoratrice madre dimentica di presentare il certificato medico per proseguire il lavoro durante l’ottavo mese di gravidanza, l’INPS è comunque tenuto a pagare l’indennità di maternità per un periodo complessivo di 5 mesi (che va dal mese precedente al parto e finisce il 4 mese successivo), non potendo pretendere di ridurre di una mensilità la durata complessiva del periodo di copertura economica spettante alla dipendente.

Così la pensa la Cassazione, che con la sentenza n. 10180 del 20 marzo 2013 ha spiegato che il periodo di 5 mesi di astensione (e il diritto a percepire il pagamento dell’indennità sostitutiva della retribuzione dall’Inps) è sottratto alla disponibilità delle parti; pertanto, la mancata presentazione del certificato non può mai avere come conseguenza una riduzione del periodo di copertura dell’indennità di maternità.

 

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