La conciliazione preventiva: un adempimento burocratico e incerto

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Mauro Soldera

Le incertezze del diritto hanno trovato una nuova occasione per esprimersi.
Parliamo del tentativo obbligatorio di conciliazione che la Riforma Fornero ha introdotto nel caso l’azienda intenda licenziare un lavoratore per giustificato motivo oggettivo.
Nella vita reale le aziende si potrebbero chiedere se l’adempimento debba ritenersi obbligatorio anche nel caso il licenziamento sia motivato dal superamento del periodo di comporto, (secondo i termini previsti nella specifica contrattazione collettiva applicabile).
Oppure no, semplicemente ritenendo che tale fattispecie abbia evidentemente natura differente dal caso in cui il licenziamento sia motivato dalla soppressione del posto cui era adibito il lavoratore; magari rafforzate in tale interpretazione dal fatto che, licenziato il lavoratore assente, si intenda procedere con la selezione di una nuova figura per il medesimo posto.
La questione non è totalmente fuori luogo se anche il Ministero del Lavoro (circolare 3/2013) ha ritenuto di doverla trattare: sposando la tesi della non assimilabilità delle due fattispecie, ha escluso la necessità di svolgere il tentativo di conciliazione nel caso del comporto.
In questo contesto si inseriscono le recenti decisioni del Tribunale di Milano, dalle cui aule proviene appunto l’incertezza.
Con una prima ordinanza (3 marzo 2013) il Tribunale conferma la tesi dell’esclusione, essendo le due fattispecie “ontologicamente diverse”; con la successiva del 22 marzo propende per la necessità del tentativo di conciliazione, affermando che il documento ministeriale non può “contraddire la norma legale”.
Ora, senza dilungarsi con un’analisi tecnica a sostegno di una o dell’altra tesi, è già sufficiente evidenziare – ancora una volta – come l’ennesima circostanza di incertezza applicativa non possa che aggiungere nuovo fardello sulle scelte e sulla gestione delle imprese.
Forse la via più saggia in questa circostanza è abbandonare qualsiasi pretesa di ragione interpretativa e, in caso si proceda con un licenziamento per superamento del termine di comporto, chiedere comunque alla direzione territoriale lo svolgimento del tentativo. Se, come già sperimentato direttamente, l’ufficio respingerà la richiesta ritenendola non imposta dalla legge, l’azienda avrà in ogni caso esercitato il massimo livello di burocrazia che le potesse essere richiesto.
Un adempimento in più, di cui certo le imprese non sentono il bisogno, ma probabilmente il male minore di fronte all’incertezza dei giudici.

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