Certificazione dei contratti di lavoro: la recente giurisprudenza

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Mauro Soldera

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Due recenti sentenze dei giudici del lavoro di Milano (5.3.2013 dott. Perillo – 8.4.2013 dott. Pariani), confermano l’orientamento espresso dal medesimo Tribunale nel maggio 2012 (29.5.2012 dott. Greco) in merito all’istituto della certificazione dei contratti di lavoro ed agli effetti che ne conseguono in caso di impugnazione.

L’istituto della certificazione è stato introdotto dalla Riforma Biagi nel 2003 (art. 75 e ss.) e confermato con qualche modifica dal Collegato lavoro, con lo scopo dichiarato di portare un contributo deflattivo al contenzioso.

Le parti di un contratto in cui sia dedotta, direttamente ma anche indirettamente (vale a dire nella forma della somministrazione di lavoro), una prestazione di lavoro, possono rivolgersi ad una apposita commissione – istituita secondo le rigide prescrizioni della norma – per far valutare il contratto che intendono stipulare; e, in caso la verifica non riscontri irregolarità, ottenere un provvedimento di certificazione capace di produrre specifici effetti giuridici anche verso terzi.

In particolare, l’eventuale impugnazione giudiziale del contratto certificato da un lato potrà svolgersi solo dopo l’infruttuoso esperimento di un tentativo di conciliazione presso la medesima commissione di certificazione, dall’altro potrà riguardare unicamente le ipotesi di erronea qualificazione del contratto, difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione o vizi del consenso.

Nei giudizi citati e dopo aver esperito senza successo il tentativo di conciliazione, i lavoratori lamentavano una scorretta gestione della causale dei contratti a termine, stipulati tutti con il medesimo datore di lavoro e tutti adeguatamente certificati.

La certificazione, dunque, è stata messa alla prova rispetto alla consueta forma di impugnazione dei contratti a termine, o di somministrazione di lavoro a termine. Vediamo con quali esiti.

Diciamo subito che il giudice del 2012, con motivazioni poi riprese nei due giudizi più recenti, ha dichiarato i ricorsi inammissibili, proprio in ragione del “meccanismo” di certificazione adottato. Ha cioè ritenuto che la contestazione circa la genericità della causale riportata in contratto non rientrasse nelle fattispecie per le quali la legge consenta l’impugnazione dinanzi al giudice ordinario di un contratto certificato, non trattandosi né di errata qualificazione, né di difformità tra quanto formalmente riportato nel contratto e quanto successivamente occorso in concreto tra le parti, né, infine, di un’ipotesi di consenso viziato.

I 3 giudici hanno aggiunto viepiù che l’eventuale erronea certificazione circa la sufficiente specificità della causale – questione oggetto delle impugnazioni proposte, appunto – atterrebbe ad un vizio rientrante nell’eccesso di potere, la cui contestazione dovrebbe essere proposta dinanzi al giudice amministrativo per richiederne l’annullamento. Ottenuto il quale, il contratto potrebbe poi essere impugnato dinanzi al giudice del lavoro nelle “forme consuete”.

Le sentenze sul punto sono ancora molto poche, perché scarso è il ricorso all’istituto della certificazione. I provvedimenti commentati potrebbero fornire lo spunto per ampliare la sperimentazione di un percorso che, oltre a fornire possibili effetti di tutela in sede giudiziaria, ha comunque e sempre l’apprezzabile beneficio di dotare le parti del contratto di un’autorevole contributo consulenziale al momento della stipula.

One comment

  1. Segnalo, anche, TAR Lombardia 7 febbraio 2012 (http://www.lablex.it/wp/wp-content/uploads/2013/04/TAR_Lombardia_certificazione.pdf), in merito al riparto di giurisdizione fra giudice ordinario ed amministrativo nonché in relazione alla correttezza della procedura.
    Ed anche Trib. Milano n. 406 del 2012 (http://www.lablex.it/wp/wp-content/uploads/2013/04/image2013-04-23-135313.pdf) in relazione alla obbligatorietà del tentativo di conciliazione in relazione ai contratti certificati ed alla efficacia della certificazione nei confronti dei terzi (nel caso: nei confronti dell’utilizzatore dell’attività lavorativa).
    Alessandro Corvino

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