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Tra gli argomenti più dibattuti nell’ultimo periodo vi è sicuramente quello che riguarda la modifica all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori e la possibilità di ottenere la reintegrazione del lavoratore a seguito dell’accertata illegittimità del licenziamento; la legge Fornero, infatti, ha operato una importante distinzione con l’intento di diluire la tutela reale e attribuire solo una tutela risarcitoria al dipendente ingiustamente licenziato.
Brevemente quindi, e come noto, all’esito di un giudizio sulla legittimità di un licenziamento per giusta causa posso aprirsi due alternative: 1) una prima, se il licenziamento viene dichiarato illegittimo ma il fatto comunque sussiste, il lavoratore può ottenere un risarcimento del danno commisurato da un minimo di 12 mensilità ad un massimo di 24 mensilità; 2) una seconda, il fatto “non sussiste” e pertanto i motivi stessi del licenziamento vengono meno, con conseguente applicazione dell’art. 18 St. lav. nella vecchia formulazione (reintegra oppure 15 mensilità + indennità risarcitoria commisurata alla retribuzione globale di fatto).
La nozione di “sussistenza del fatto” è stata oggetto di alcune recenti sentenze, di merito e di legittimità, riguardanti la legittimità del licenziamento per giusta causa intimato a seguito di un diverbio litigioso – avvenuto tra dipendenti – poi sfociato nelle “vie di fatto” ma senza un effettivo blocco della produzione o danno alla produttività aziendale; in questo senso, infatti, una prima e importante decisione è stata quella adottata in Cass. 22.3.2011, n. 6500 ove si legge in motivazione che “… il licenziamento ritenuto illegittimo dal Tribunale, era stato intimato nei confronti di entrambi i ricorrenti in relazione ai fatti verificatesi il giorno … nella sala mensa dello stabilimento, allorché gli stessi, in presenza di altro personale, si erano impegnati in un diverbio litigioso, seguito dalle vie di fatto, reiterato dopo pochi minuti in prossimità dello spogliatoio, a seguito del quale il D. aveva riportato escoriazioni all’occhio sinistro, immediatamente medicate, ritenendosi che con la loro condotta i dipendenti avevano arrecato grave perturbamento alla vita aziendale …
Con sentenza del 9.7.2007 della Corte di Appello di Lecce veniva respinto l’appello della società, sostenendosi che il diverbio era avvenuto per questioni niente affatto connesse alle disposizioni impartite dal datore di lavoro, durante una pausa lavorativa e lontano dai reparti produttivi, per cui non si era avuta alcuna interruzione dell’attività lavorativa e l’unico perturbamento arrecato era consistito nel disturbo arrecato all’ingegner B., intervenuto per invitare tutti alla calma.
Non poteva parlarsi di azioni delittuose connesse con lo svolgimento del rapporto di lavoro, né vi era stato alcun grave nocumento morale o materiale”.
Dello stesso avviso anche Cass. 25.7.2011, n. 16192 nella quale, ribaltando completamente il giudizio di primo grado, sono state ritenute inconferenti e non rilevanti le deduzioni svolte da parte del datore di lavoro poiché “…il diverbio non era degenerato, né aveva dato luogo ad alcun blocco del ciclo produttivo, poiché esso era durato solo alcuni secondi e, comunque, vi era stato solo qualche spintone e strattonamento”: nel caso oggetto della decisione, dunque, le limitate dimensioni dell’episodio (ovvero una discussione circa le modalità di lavorazione) non potevano essere sufficienti da sole a giustificare un licenziamento, soprattutto in assenza di precedenti disciplinari che avessero leso – in modo irreversibile –il vincolo fiduciario tra le parti.
Tutto ciò porta ad alcune considerazioni sulla sussistenza del “fatto contestato” e sulla conseguente possibilità, per il lavoratore, di ottenere la tutela reale anche nel nuovo regime giuridico delineato dalla Fornero; la nozione di “sussistenza” non può, evidentemente, prescindere dalla considerazione del fatto nella sua interezza tenuto conto tanto della condotta del lavoratore (quindi, l’elemento oggettivo) quanto dell’atteggiamento psicologico dello stesso (ovvero l’elemento soggettivo) inteso come quella volontà (dolo) o negligenza (colpa) che hanno determinato un danno all’azienda e la conseguente lesione del vincolo fiduciario.
Dello stesso avviso anche l’ordinanza 4.4.2013, con la quale il Giudice del Lavoro di Roma, dr. Cosentino, ha deciso si una situazione analoga ed ha rilevato che “ai fini della scelta della tutela (reale o indennitaria) nel licenziamento disciplinare il giudice non può guardare invece solo al mero fato ipotizzato e contestato dal datore […] anche perché è del pari evidente che, prescindendo dalla valutazione del comportamento alla luce della sua qualificazione giuridica (oggettiva e soggettiva) si autorizzerebbe ogni sorta di contestazione ovvero la contestazione di qualsiasi sorta di fatto, anche di “pezzi di fatto” giuridico, o di fatti con scarso o nessun rilievo giuridico e disciplinare”.
E’ quindi condivisibile ritenere che, in caso di licenziamento per giusta causa irrogato successivamente al 18 luglio 2012, il lavoratore possa ottenere il riconoscimento della tutela reale in mancanza di una prova effettiva sulla sussistenza di tutto il fatto, inteso sia come elemento oggettivo che come elemento soggettivo: tutela che viene a maggior ragione ribadita se nel c.c.n.l. applicato mancano quelle tipizzazioni necessarie all’individuazione di ipotesi di illecito disciplinare.
Vorrei sapere se la legge Fornero in questi casi prevede il danno biologico provocato al lavoratore che è stato licenziato ingiustamente.
saluti P.G.