Marzia Sansone
La predeterminazione legale del danno in favore del lavoratore di cui all’art. 18 della Legge n. 300/1970 (cd. Statuto dei Lavoratori), non preclude la richiesta di risarcimento dell’ulteriore danno derivato dal ritardo della reintegra.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 9073 del 15 aprile 2013, con la quale ha confermato la pronuncia della Corte territoriale che aveva condannato il datore di lavoro al risarcimento del danno patito dal lavoratore per la ritardata reintegra sul posto di lavoro, nonostante le sentenze a lui favorevoli in tutti i gradi del giudizio.
Per la Corte di legittimità non vi è duplicazione del risarcimento già effettuato attraverso la corresponsione delle retribuzioni dovute in quanto, l’ulteriore danno, è strettamente collegato ad un comportamento omissivo datoriale solo eventuale; tale interpretazione mira ad evitare che un comportamento illegittimo – come un licenziamento privo di giusta causa o giustificato motivo – possa ulteriormente mortificare e compromettere la dignità della persona del lavoratore che viene privato, nonostante l’ordine del giudice, della possibilità di reinserirsi nel mondo lavorativo e di dare il proprio contributo produttivo al benessere collettivo, con l’evidente rischio anche di un logoramento della professionalità acquisita.
Sulla scia di tale interpretazione, quindi, la Corte conferma la legittimità della condanna al risarcimento del danno patrimoniale – comprovato attraverso la prova presuntiva, sulla scorta dei trattamenti percepiti prima del licenziamento e dopo la reintegra – e non patrimoniale, liquidato in via equitativa.
Se è vero dunque che l’obbligo di reintegra è infungibile ed incoercibile, è altrettanto vero che può costare molto caro alle imprese.