Infortunio sul lavoro: RSPP e colpa professionale

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Marzia Sansone

Marzia Sansone

Il Responsabile del servizio di prevenzione e protezione che, agendo con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio – inducendo così il datore di lavoro ad omettere l’adozione di una doverosa misura prevenzionale – risponderà insieme a quest’ultimo dell’evento dannoso derivatone, essendo a lui ascrivibile un titolo di colpa professionale che può assumere anche un carattere addirittura esclusivo.
Lo ha stabilito la IV Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11492 dell’11 marzo 2013, sulla base di una netta distinzione tra il piano delle responsabilità prevenzionali e quello delle responsabilità per reati colposi di evento.
La Suprema Corte, pur riconoscendo che il Responsabile del servizio di prevenzione e protezione non è titolare di alcuna posizione di garanzia rispetto all’osservanza della normativa antinfortunistica, essendo chiamato unicamente a prestare ausilio al datore di lavoro (unico titolare della posizione in parola) nella individuazione e segnalazione dei fattori di rischio e nella elaborazione delle procedure di sicurezza nonché di informazione e formazione dei lavoratori, sottolinea come ciò non escluda che possa profilarsi uno spazio per una concorrente responsabilità del RSPP; quest’ultimo, infatti, pur non potendo intervenire direttamente per rimuovere le situazioni di rischio, può ciò nonostante essere ritenuto corresponsabile del verificarsi di un infortunio, ogni volta che questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l’adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione.
Pertanto, l’omissione colposa del potere-dovere di segnalazione in capo al RSPP, pur non sanzionabile di per sé (a causa della mancata previsione di un’espressa sanzione nel sistema normativo), sarà fonte di responsabilità penale allorché si ponga quale concausa dell’evento dannoso verificatosi in ragione della mancata rimozione della condizione di rischio.
Infine, la Corte estende il raggio di tutela delle norme antinfortunistiche anche ai terzi che si trovino nell’ambiente di lavoro, indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di dipendenza con il titolare dell’impresa, a condizione che la presenza del soggetto passivo estraneo all’attività e all’ambiente di lavoro, nel luogo e nel momento dell’infortunio, non rivesta carattere di anormalità, atipicità ed eccezionalità tali da far ritenere interrotto il nesso eziologico tra l’evento e la norma violata (nella fattispecie sottoposta all’esame della Corte, la presenza del soggetto passivo è stata valutata come tipica, trattandosi di un paziente di una ASL, che ha riportato lesioni gravi a causa del malfunzionamento di un apparecchio elettromedicale).

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