Il diritto incerto: i contratti a progetto dopo la riforma

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Marco Proietti
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Una delle più grandi contraddizioni dell’attuale diritto del lavoro italiano è rappresentato, per l’impiego privato, dal contratto a progetto.

Disciplinato dal D.lgs. 276/2003, e poi da ultimo riformato dalla legge Fornero, il lavoro a progetto rappresenta un’anomalia tutta italiana, introdotta con il (buon) intento di garantire una maggiore flessibilità al mercato e che poi ha solo fatto aumentare il contenzioso in materia: in quella disciplina, infatti, vi è un’ambiguità di fondo che risiede proprio nella creazione di quella particolare forma di rapporto di lavoro, definita “parasubordinazione”, e per la quale il collaboratore a progetto resta vincolato al committente (datore di lavoro) non in ragione del noto potere gerarchico, direttivo e disciplinare, ma solo in virtù di una non meglio definita forma di coordinamento.

Nello stesso testo della norma si possono individuare una serie di “trappole” in cui il committente (datore di lavoro) non può non cadere: vi deve essere il controllo, ma il controllo non può andare oltre il coordinamento; il progettista non può essere obbligato ad un orario, ma la firma di fogli entra/uscita può non bastare quale indice di subordinazione; è nu lavoro autonomo, ma vengono garantite le prerogative in tema di maternità. Ostacoli e cavilli che sono stati ancora più amplificati dalla legge Fornero e dalle successive circolare del Ministero e dell’Inail.

In ogni caso, e in linea di massima, un contratto a progetto deve rispettare alcuni requisiti affinché possa essere considerato valido almeno nella forma:
1) forma scritta, ad probabtionem;
2) indicazione del progetto, che non può corrispondere all’oggetto sociale del committente;
3) durata a tempo determinato o almeno determinabile;
4) corrispettivo parametrato ai minimi tabellari;
5) proroga solo in casi particolari;
6) prestazione resa in forma di lavoro autonomo: nessun vincolo di orario, strumenti di lavoro propri e non del committente, nessun obbligo di comunicare assenze o malattia, tutela minima per maternità e congedo.

La previsione di uno specifico progetto è essenziale, in quanto in mancanza di un collegamento funzionale ad un determinato risultato, l’attività svolta dal progettista deve essere necessariamente ricondotta sotto l’alveo della subordinazione; la prassi giurisprudenziale ha poi dimostrato che non basta avere un valido progetto, è necessario che il rapporto di lavoro sia nei fatti svolto sotto forma autonoma altrimenti, come previsto dall’art. 69 della legge Biagi, il rapporto di lavoro viene colpito dalla sanzione della conversione.

E’ evidente che tutto il sistema finisce per aggrovigliarsi su sé stesso in modo irreparabile, con danno a tutto il mercato del lavoro. Il legislatore del 2003, da parte sua, aveva cercato di garantire una forma di lavoro autonomo senza la necessità di una partita Iva, seguendo un intento probabilmente anche condivisibile, seppur non necessario alla luce di una serie di considerazioni che si potrebbero facilmente trarre dalla portata dell’art. 2222 cod. civ., ma sicuramente v tradito e contraddetto dagli interventi legislativi che sono stati attuati nel corso degli ultimi dieci anni: interventi tutti inequivocabilmente finalizzati a colpire le forme di lavoro a progetto “simulate” ed a renderlo poco appetibile.

Da ultimo, ed in questa stessa direzione, è intervenuta la la circolare del 19 febbraio 2013, indirizzata al personale ispettivo, con la quale l’INAIL ha nuovamente precisato quali siano gli indici di legittimità del progetto o comunque del rapporto di lavoro: (i) collegamento funzionale ad un risultato; (ii) autonoma identificabilità del progetto e non coincidenza con l’oggetto societario del committente; (iii) svolgimento di compiti non meramente esecutivi; (iv) particolari qualifiche o elevata professionalità del progettista. In caso di anomalie, come già visto, il contratto si converte.

Resta a questo punto il dubbio: quanto può essere effettivamente utile una forma “atipica” come quella del contratto a progetto? E’ opinione diffusa, e condivisibile, che l’unico risultato raggiunto con le co. co. pro. è una maggiore incertezza del diritto ed un sensibile aumento del contenzioso del lavoro: è chiaro, non si creano posti di lavoro tramite decreto, ma è lecito pensare che una rivisitazione organica del diritto del lavoro – partendo dalla distinzione tra autonomia e subordinazione – possa aiutare gli operatori sul mercato che chiedono a gran voce poche norme, chiare ed efficienti.

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