Il Foglio pubblica oggi una bella inchiesta di Marco Valerio Lo Prete (http://www.ilfoglio.it/soloqui/17705) sulla nascita dei luoghi comuni in tempo di crisi. Lo spunto è la vicenda di Civitanova. Come avevamo fatto notare anche su queste pagine, il pover’uomo suicidatosi nelle Marche viveva una drammatica situazione lavorativa che, tuttavia, non c’entrava nulla con gli esodati. Questa categoria di persone abbraccia quei lavoratori dipendenti che hanno accettato di uscire dal lavoro in cambio di un incentivo all’esodo, pensando che la data di pensionamento fosse ad un certo giorno: arrivata la Fornero, quel giorno è stato spostato in avanti di 4-5 anni, aprendo una voragine nella vita di migliaia di persone. Questi sono gli esodati. L’artigiano di Civitanova era altro: era un uomo schicchiato dalla crisi, che di fronte alle prime difficoltà della sua azienda ha dovuto combattere con la totale latitanza del sistema pubblico: nessun aiuto, tanta burocrazia, cartelle esattoriali e poco altro.
Ma per la vulgata generale era un esodato. Non si tratta di uno sbaglio da poco; queste generalizzazioni non aiutano a capire i fenomeni e impediscono la ricerca delle soluzioni più adatte. Il problema degli esodati è una drammatica ingiustizia che andrebbe sanata, con un colpo di penna che, senza se e senza ma, ridesse alle persone il diritto che avevano ormai acquisito.
Ma se anche questo problema non fosse mai sorto, l’artigiano di Civitanova si sarebbe suicidiato lo stesso: le cartelle esattoriale sarebbero comunque arrivate, così come il diniego del DURC, la crisi della sua azienda e il vuoto spinto del sistema di aiuti alle imprrese.
Troppo facile dare sempre e solo la colpa alla Fornero.