Costa cara la pausa caffè: bancario licenziato

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Giampiero Falasca

Il dipendente di una banca che si allontana per la pausa caffè lasciando incustodita la cassa può essere licenziato; questo comportamento non può essere scusato neanche invocando l’esistenza di una prassi interna che consente l’assenza per brevi periodi.
Le motivazioni della Corte sono ispirate a un rigore formale che farà molto parlare, vista la grande diffusione della pausa caffè. Forse si parlerà meno di un altro aspetto della vicenda che meriterebbe altrettanta attenzione: ci sono voluti 15 anni e 5 sentenze (diverse tra loro), per stabilire se un licenziamento era giustificato o meno. Questi tempi non sono accettabili per un paese che vuole dirsi moderno.
Ma andiamo alla sentenza, la n. 7829 pubblicata il 28 marzo 2013, la quale ha concluso una lunga battaglia giudiziaria iniziata nel 1998. Il dipendente di una banca aveva rifiutato di eseguire un’operazione richiesta da un cliente, e soprattutto si era allontanato temporaneamente dal posto di lavoro, per prendere il caffè, lasciando aperta la cassa, chiedendo ai colleghi di occuparsene in sua assenza. Per giustificare le proprie mancanze, il dipendente aveva sostenuto di non possedere le cognizioni sufficienti per compiere l’operazione, nel primo caso, e di aver seguito una prassi aziendale che consentiva la pausa caffè, nel secondo caso. Il licenziamento del dipendente veniva giudicato illegittimo in primo grado e in appello, ma la Corte di Cassazione bocciava queste decisioni, ritenendo che il comportamento del dipendente era connotato della sufficiente gravità per integrare la giusta causa. A seguito di tale decisione, la Cassazione rimandava gli atti alla Corte d’Appello, che riesaminava il caso confermando, questa volta, il licenziamento. Questa decisione veniva nuovamente impugnata per Cassazione, stavolta dal dipendente, e finalmente veniva detta la parola fine, con la sentenza di ieri. Secondo la pronuncia, la gravità dei comportamenti tenuti dal dipendente deve essere valutata non solo rispetto all’interesse patrimoniale del datore di lavoro, ma anche con riferimento alla possibile lesione dell’interesse pubblico alla sana e prudente gestione del credito. Questo interesse, secondo la sentenza, è stato compromesso dal comportamento del dipendente, che ha violato tutte le regole di maneggio e custodia del denaro prevista dalla banca, allontanandosi senza permesso dal suo posto di lavoro. Né il comportamento è scusabile, secondo la Corte, per il fatto che il dipendente aveva seguito una prassi interna che legittimava l’assenza per la pausa caffè, in quanto l’invocazione delle regole di cosiddetto buon senso, diverse da quelle formali previste dal datore di lavoro, si concretizza in una negazione del potere organizzativo e disciplinare del datore di lavoro.

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