Call center e lavoro a progetto: la circolare-burla del Ministero del Lavoro

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Il Ministero del lavoro ha pubblicato una sorprendente circolare sul lavoro a progetto nei call center, che racchiude in sè tutti i vizi del nostro modo di gestire il lavoro.
La storia nasce l’estate scorsa, quando il settore dei call center riesce a far approvare una norma che dice – o meglio vorrebbe dire – che la legge Fornero e l’obbligo di progetto non si applicano al settore dei call center che fanno attività outbound.
La norma è scritta talmente male da essere quasi inapplicabile: non dice quale parte della normativa non si applica ai call center, non spiega cosa sono i call center outbound, subordina l’esenzione alla presenza di almeno 20 dipendenti e, soprattutto, all’applicazione di compensi previsti dai contratti collettivi.
Appena approvata questa disastrosa disposizione, ci si accorge che di fatto nulla è cambiato.
Un Paese serio interverrebbe cambiando la regola (o forse un Paese serio non farebbe regole ed eccezioni, ma a questo non arriveremo mai).
L’Italia, si sa, non ama i percorsi chiari, ma preferisce le scorciatoie. Ed ecco il capolavoro della circolare: la legge resta com’era (pasticciata e inapplicabile) ma il Ministero del Lavoro, con un atto privo di qualsiasi efficacia normativa, prova a convincere tutti che la norma è chiara e funziona così com’è: basta interpretarla.
Così, la circolare spiega che l’esenzione si applica a tutti i call center (ma la legge non dice questo, fissa in maniera chiara una soglia…), che non si applica il progetto ma le altre norme sulla collaborazione restano in vigore (non sta scritto da nessuna parte, ma il Ministero non se ne cura) e poi conclude con un capolavoro assoluto.
Mentre la legge dice che la deroga vale solo se sono pagati compensi previsti dai contratti collettivi per i lavoratori a progetto, il Ministero tira fuori una regola diversa: non serve firmare accordi collettivi, se non ci sono si usano quelli dei lavoratori subordinati!
Questa accozzaglia di interpretazioni incollate in maniera confusa e disordinata non è solo sgangherata, è anche molto pericolosa: le aziende possono pensare che la circolare ha una qualche efficacia interpretativa, ma non è vero.
Il rischio di seguire queste ardite letture ricade, quindi, tutto sulle imprese, che potrebbero trovarsi a scoprire, davanti a un tribunale del lavoro, che le regole vanno interpretate diversamente da come dice il Ministero del lavoro.

(per scaricare la circolare, cliccare qui)

One comment

  1. Il lavoro a progetto è nato tecnicamente male. Già con la sedicente “legge Biagi” (che del pensiero e delle proposte di Biagi sviluppava solo la parte che ideologicamente faceva comodo a una certa parte politica, dimenticandosi tutto il resto), si introdusse il lavoro a progetto senza specificare “cosa” il progetto stesso dovesse essere. Lo vissi in prima linea con grande apprensione per un cliente che, all’epoca, si augurava di poter regolarizzare il 30% del proprio organico, fatto di collaborazioni coordinate e continuative, senza sapere più come farlo perché la legge non lo diceva. I successivi decreti attuativi, dell’allora ministro Maroni, erano talmente – e volutamente – vaghi che di fatto il ministero demandò alla giurisprudenza, cioè ai giudici del lavoro, l’interpretazione della legge stessa.
    Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Le aziende non hanno certezza del diritto, i lavoratori non hanno tutele.

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