Il futuro del lavoro autonomo dopo la riforma Fornero

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Marco Proietti

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Una delle questioni maggiormente dibattute negli ultimi mesi riguarda la stretta operata sulle partite Iva da parte della Riforma Fornero e l’introduzione di una serie di cavilli ed inutili lacci all’instaurazione di un rapporto di lavoro autonomo: in tale occasione, il legislatore è risultato poco chiaro e spesso contraddittorio, ed ha formulato una legge non organica con l’intero apparato del diritto del lavoro, determinando i dubbi di molti addetti ai lavori.

L’intento dichiarato, al momento dell’entrata in vigore della Riforma Fornero, è stato quello di cercare – per quanto possibile – di porre un freno all’infinita proliferazione di partite Iva “simulate” e garantire una maggiore certezza del diritto; nella prassi quotidiana, infatti, molti lavoratori vengono inizialmente assunti a seguito dell’apertura di una partita Iva e poi, invero, assegnati allo svolgimento di mansioni ordinarie come un qualunque dipendente: tale anomalia ha comportato il moltiplicarsi di controversie promosse al fine di ottenere una sentenza di accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro e la conseguente condanna del datore al pagamento di differenze retributive oppure, quando presente, alla declaratoria dell’illegittimità del licenziamento con reintegrazione in servizio.

In realtà, l’intervento operato dalla Riforma Fornero è solo superficiale e si cerca di sopperire alle mancanze strutturali (ovvero, le ispezioni aziendali) attraverso una legiferazione massiccia su ogni settore del diritto, senza norme di raccordo tra un istituto e l’altro e con buona pace della certezza del diritto; la legge, infatti, invece di affrontare un ragionamento sulla portata dell’art. 2222 cod. civ., si limita inspiegabilmente ad introdurre un art. 69-bis alla Legge Biagi, ovvero accosta pericolosamente la disciplina del lavoro autonomo a quella sul lavoro parasubordinato.

La legge stabilisce infatti che il rapporto di lavoro autonomo si presume una vera e propria collaborazione coordinata e continuativa nel caso in cui siano presenti 2 su 3 dei seguenti requisiti:
1) si tratta di una collaborazione protratta per 8 mesi, anche non consecutivi, in un arco temporale di 2 anni calcolati nell’ambito del singolo anno civile, ovvero dal 1° gennaio al 31 dicembre;
2) il compenso percepito dal lavoratore autonomo è rappresentato per almeno l’80% da introiti derivanti da un solo committente, ragionando sempre sul ricavato in due anni ovvero due periodi di 365 giorni (che in questo caso, invece, possono non coincidere con l’anno civile);
3) il lavoratore utilizza una postazione di lavoro fissa nonché gli strumenti di lavoro messi a disposizione da parte del datore.

Questa forma di presunzione “legale” in realtà finisce con il generare un paradosso.
E’ fin troppo evidente che i rapporti di lavoro con partita Iva – proprio per la loro stessa natura – non contemplino l’esistenza di un progetto specifico: ciò comporta che, mancando il progetto, la partita Iva, poi “presunta” co. co. pro., incorra nella conversione in rapporto di lavoro subordinato così come stabilito dagli artt. 61 e ss. della Legge Biagi.

Condivisibile è l’opinione di molti operatori del diritto del lavoro i quali lamentano non solo un’eccessiva rigidità del sistema appena delineato – che non tiene minimamente conto delle peculiarità del caso concreto e delle necessità di semplificazione auspicate dalle imprese – ma, soprattutto, un ingiustificato accanimento contro il lavoro reso in forma autonoma, che in questo modo viene reso davvero poco appetibile.

Ma l’analisi va svolta anche sotto un altro profilo.
La norma, infatti, introduce un nuovo articolo alla Legge Biagi – nella parte riservata alle collaborazioni a progetto – invece di dedicarsi, anche con sforzo interpretativo, alla disciplina sulla prestazione di opera intellettuale; le due nozioni sono sensibilmente diverse, poiché nelle co. co. pro. il collaboratore si impegna nella realizzazione di uno specifico progetto (da cui discende la durata determinata o determinabile del contratto stesso, e la validità del contratto) mentre nella prestazione di opera intellettuale, evidentemente, il lavoratore fornisce la c.d. locatio operis e quindi mette a disposizione le proprie capacità professionali, intellettuali e le skills acquisite, a prescindere dall’esistenza di un progetto.
Le due figure non possono convivere e, pertanto, il nuovo art. 69-bis finisce per scontrarsi con l’assetto delineato dal Codice Civile: un conflitto che, con molta probabilità, finirà per ritrovarsi anche nella giurisprudenza.

La questione rimane aperta, ed il legislatore si è affrettato a stabilire dei casi “in deroga” poi meglio chiariti dalla circolare del 27 dicembre scorso. E’ così stabilito che in alcuni casi la presunzione “legale” non opera e la partita Iva si debba ritenere “genuina” poiché caratterizzata da uno dei seguenti elementi:
1) il prestatore autonomo è in possesso di specifiche competenze teorico/pratiche, certificate da titoli di studio di 2° grado o da parte di scuole professionali;
2) il reddito lordo annuo del lavoratore è superiore ad un limite fissato annualmente dal Ministero, e che per il 2013 e di circa Euro 18.000; 3) si è in presenza di un esercizio di attività professionali per le quali l’ordinamento richiede l’iscrizione in un ordine professionale o registro.

Ancora una volta, però, emerge con evidenza la farraginosità dell’intervento operato dalla Riforma Fornero sulle partite Iva. Vuoi perché, probabilmente, un vero e proprio intervento legislativo non era necessario e neppure sentito; vuoi perché, soprattutto, in tutto il corpo della Riforma manca una norma di raccordo tra la disciplina fissata nel citato art. 69-bis e l’art. 2222 cod. civ., né tale mancanza si può pensare venga sopperita interamente dal lavoro interpretativo svolto da parte del Giudice del Lavoro. Tutto ciò finisce per generare una profonda incertezza del diritto, che impedisce la tutela delle posizioni giuridiche in gioco (datori di lavoro e lavoratori) e funge, a questo punto, da deterrente per chi è intenzionato ad effettuare investimenti nel nostro paese.

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