Apprendistato: si può recedere in caso di matrimonio?

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Paolo De Luca

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L’eterna speranza del diritto del lavoro italiano è che il contratto di apprendistato riesca finalmente ad affermarsi come strumento privilegiato per favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. A tale proposito, va dato merito al legislatore (a partire dal Testo Unico n. 167/2011) di aver imboccato la via maestra della semplificazione normativa. Nelle pieghe della legislazione vigente restano, però, alcune aree di incertezza – per lo più generate da uno scarso coordinamento tra diverse norme del nostro ordinamento lavoristico – in grado di complicare la vita delle imprese. Una di queste potenziali zone scivolose concerne un aspetto fondamentale: la disciplina del recesso. Sul punto, la disciplina di legge è, almeno in linea teorica, semplice. Durante il periodo di formazione trovano applicazione le regole ordinarie: per cui, il licenziamento deve essere sorretto da giusta causa o giustificato motivo. Al termine del periodo di formazione, invece, si apre una finestra che consente al datore di lavoro di dare “disdetta” al contratto (ai sensi dell’art. 2118 del codice civile), impedendo che prosegua come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Cosa succede, però, se al termine del periodo di formazione – senza che si siano mai verificati periodi sospensione del rapporto – una apprendista comunichi al datore di essere in dolce attesa o di aver affisso le pubblicazioni del matrimonio? In un caso del genere: può il datore di lavoro esercitare la facoltà di “libera” disdetta di cui abbiamo parlato? O invece, in una prospettiva maggiormente protettiva, la disdetta potrebbe essere qualificata come un licenziamento nullo per causa di matrimonio o durante il periodo protetto della maternità. Su tale questione si è pronunciato il Ministero del Lavoro nel giugno del 2012, rispondendo ad un interpello promosso dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro (Interpello n. 16/2012). Secondo il Ministero, le cause di nullità del licenziamento (per causa di matrimonio o gravidanza) trovano applicazione anche con riferimento ai lavoratori impiegati con contratto di apprendistato, al pari delle disposizioni limitatrici del licenziamento in costanza di malattia e infortunio. Pertanto, il datore di lavoro potrebbe comunicare la disdetta solo al termine del periodo di divieto, con preavviso decorrente da tale data. La soluzione ministeriale non appare del tutto convincente né di agevole applicazione. Basti pensare che, nel caso ipotizzato del matrimonio, il datore di lavoro sarebbe tenuto a mantenere “artificialmente” in piedi (magari per oltre un anno) un rapporto di apprendistato giuridicamente privo di causa, essendo stato completato il periodo formativo. La tesi del Ministero, peraltro, appare contraddittoria rispetto all’attuale impianto legislativo e ai recenti sviluppi della contrattazione collettiva, ove la possibilità di prolungare il periodo di apprendistato viene giustificata esclusivamente in caso di malattia, infortunio o altra causa di sospensione involontaria del rapporto, nel rispetto del principio di effettività dell’attività formativa. Auspicando futuri interventi chiarificatori del legislatore o delle parti sociali sul punto, non resta che monitorare costantemente i massimari per verificare quale accoglienza troverà l’interpretazione (forse eccessivamente formalistica) del Ministero nelle aule di Tribunale.

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