La diffida accertativa: tecniche di sopravvivenza

Posted by

Antongiulio Colonna

avv colonna

La recente circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 1 del 2013 ci offre l’opportunità di svolgere alcune riflessioni sull’istituto della “diffida accertativa per crediti patrimoniali” di cui all’art. 12 del D.Lgs 124/2004.
E’ interessante notare come la circolare oltre ad indicazioni di carattere operativo offre anche una ricostruzione generale dogmatica della fattispecie quasi si sentisse l’esigenza di supportare e giustificare quest’istituto.
Viene in primo luogo evidenziata, dal Ministero, la peculiarità dell’Istituto – quella di essere un titolo esecutivo di formazione amministrativa per la soddisfazione di un diritto soggettivo privato – che tuttavia sarebbe coerente, da un parte, con la ratio di deflazionare il carico dei tribunali dall’altra con altri istituti “similari” come l’ordinanza ingiunzione ex art. 18 l.689/1981 e la riscossione a mezzo ruoli esecutivi.
Altro passaggio rilevante della circolare è quello in cui si evidenzia che il credito, per essere oggetto di diffida accertativa può scaturire da una valutazione giuridica (finalizzata ad individuare la “certezza del diritto”) dell’ispettore unita ad un accertamento di fatto ed, infine, da una valutazione contabile volta a determinare il quantum.
In conclusione tale istituto, anche secondo le recenti indicazioni ministeriali, potrebbe trovare applicazione in svariate ipotesi quali crediti retributivi da omesso pagamento; crediti di tipo indennitario; da maggiorazioni; TFR; crediti legati al demansionamento ovvero ex art. 36 Cost. ovvero derivanti dall’accertamento di lavoro sommerso.
Credo che (almeno su) una considerazione preliminare si possa certamente concordare: la diffida accertativa per crediti patrimoniale è (potenzialmente) uno strumento “dirompente” quanto agli effetti pratici. Questo istituto si accompagna infatti, è la stessa lettera della norma a precisarlo, ad una verifica ispettiva da parte delle Direzioni del Lavoro.
Verifica ispettiva, che, nella comune esperienza, è rivolta a controllare prima di tutto gli adempimenti e rilevare eventuali irregolarità dell’azienda sotto il profilo degli adempimenti in materia di lavoro.
Ciò a dire che all’esito della visita ispettiva l’azienda si potrebbe trovare ad affrontare da una parte i profili sanzionatori (spesso anche con risvolti penali) nei confronti della Pubblica Amministrazione, dall’altra, contestualmente ed immediatamente, molteplici pretese risarcitorie individuali già “accertate” e “consolidate” come vedremo in seguito.
L’ispettore accerta cioè, come visto, l’esistenza di crediti a favore dei singoli lavoratori, quali, ad esempio, straordinari non pagati, differenze retributive derivanti da errata applicazione di contratto collettivo, etc.
Dirò fin d’ora che non condivido affatto l’analisi della circolare.
Certamente la diffida accertativa per crediti patrimoniali è un istituto “peculiare”.
Ma dobbiamo intenderci su quale accezione vogliamo dare a tale espressione.
La diffida accertativa, è, in altri termini, un titolo “eccentrico” – comunque del tutto atipico – perché sfugge a qualsiasi categoria dei titoli esecutivi: questi, come noto, possono provenire dal Giudice, da una dichiarazione unilaterale del debitore (cambiali, assegni, atti ricognitivi, etc…) o da una determinazione pattizia dei litiganti (ad esempio un verbale di conciliazione giudiziale).
Non è vero che vi sono nel nostro ordinamento istituti similari.
L’ordinanza Ingiunzione e le riscossioni a mezzo ruolo – citate nella circolare – attengono a sanzioni e/o comunque a crediti della Pubblica Amministrazione.
Nel caso della diffida accertativa patrimoniale abbiamo invece un titolo (a seguito del provvedimento del Direttore della DTL) esecutivo, di formazione stragiudiziale NON a favore della pubblica amministrazione che lo ha formato, ma a favore del lavoratore di cui l’ispettore abbia (unilateralmente) accertato un credito pecuniario.
Il che è diverso.
E da qui deriva la vera prima questione.
A ben vedere l’Ispettore ha il potere di fare (e la mia impressione, se solo ce ne fosse stato bisogno, è largamente confermata dalla circolare n.1/2013) ciò che nemmeno un giudice “oserebbe”: svolgere un’istruttoria secondo modalità inquisitorie e d’ufficio, compiere da solo tutte le valutazioni e operazioni di solito demandate ai periti del tribunale, ed infine dare una valutazione giuridica delle risultanza da lui acquisite.
Il tutto poi “consacrato” in un titolo esecutivo.
Viene cioè attribuito ad un soggetto un potere unilaterale ed in totale mancanza di contradditorio molto ampio, anzi, fuori controllo.
Ecco perché la dottrina è unanime nel ritenere tale strumento della diffida inaccettabile e che si espone a numerosi e concorrenti profili di incostituzionalità.
Ma la questione centrale è, a ben vedere, un’altra ed è spesso singolarmente sottaciuta.
Il diritto di difesa del datore di lavoro.
Le ordinanza ingiunzioni, gli avvisi di addebito INPS, le cartelle esattoriali, prevedono rimedi giurisdizionali ad hoc, che cercano di fare da contrappeso ai (larghi) poteri attributi alla Pubblica Amministrazione.
Nulla è previsto per le diffide accertative per crediti patrimoniali.
Quali possibili tecniche di difesa allora per il datore di lavoro?
Il ricorso al comitato regionale per i rapporti di Lavoro così come il tentativo di conciliazione presso la medesima autorità sono strumenti degno di menzione più che altro per il beneficio, temporalmente limitato e risolutivamente condizionato, di sospendere o dilazionare l’efficacia esecutiva del titolo.
In ogni caso non certo sostitutivi di rimedi giurisdizionali.
La norma non prevede inoltre alcuna forma di inibitoria giudiziale.
La dottrina ha cercato di fornire risposte, non sempre soddisfacenti, anche e sopratutto sul piano pratico.
Una prima soluzione, subito accantonata, è quella dell’impugnazione davanti al TAR: trattandosi di diritti soggettivi e correlati obblighi del rapporto di lavoro deve infatti ritenersi pacifica la giurisdizione del giudice del lavoro.
Il rimedio della causa per l’accertamento negativo del diritto del lavoratore destinatario della diffida, soluzione che pure appare corretta sotto il profilo formale, ad avviso di chi scrive è rimedio di scarso interesse pratico (il problema sorge al momento dell’emissione della diffida, non prima) ed anche penalizzante per il datore di lavoro sotto il profilo degli oneri probatori.
Due sono i rimedi allora che si profilano.
Il primo e’ rappresentato dall’opposizione di cui all’art. 615 c.p.c. che, come noto, è azione rivolta a contestare il diritto dell’istante a procedere ad esecuzione forzata.
Vero che, a stretto diritto, la finalità che si intende perseguire non è la contestazione del diritto di procedere in esecuzione ma, come autorevole dottrina processual-civilistica ha chiarito, tale strumento dell’ opposizione di merito, se concerne titoli di formazione stragiudiziale, deve permettere al debitore la facoltà di dedurre tutto quanto sarebbe stata sua facoltà fare in un normale processo di cognizione.
Spesso poi, nella prassi, il titolo esecutivo costituito dalla diffida viene utilizzato quale “prova scritta” per richiedere un ingiunzione di pagamento, quindi il secondo rimedio, va da se, non potrà che essere l’opposizione a decreto ingiuntivo.
Ma anche in questo caso ciò che il Giudice è chiamato a fare è dare una interpretazione costituzionalmente orientata verificando, nel merito, la legittimità delle pretese contenute nella diffida accertativa, anche se il titolo opposto è, a stretto diritto, diverso (il decreto ingiuntivo) o se, a ben vedere, si mette in discussione non tanto il diritto a procedere ad esecuzione forzata ma il diritto sul cui presupposto si è intrapresa la procedura esecutiva: e questo perché diversamente opinando quel titolo finirebbe per godere di una sorta di immunità assoluta e perché, lo si ripete, manca un precedente accertamento giurisdizionale che ha portato alla formazione del titolo.
Dovrà essere fatto corretta applicazione poi dei principi in materia di ripartizione degli oneri probatori (è il lavoratore che dovrà provare il fondamento delle sue pretese) e da ultimo, ma non come ultima cosa, il Giudice dovrà poter sospendere l’efficacia esecutiva del titolo.
Tutti e due le azioni non sono, bene chiarirlo, pienamente soddisfacenti.
Necessario allora comunque sollevare la questione di costituzionalità, ripercorrendo – al fine di evidenziare il grave vulnus dell’ordinamento – tutte le problematiche relative alla compressione inaccettabile del diritto di difesa del “diffidato”.
Il tutto fino a quando, auspicabilmente, tale istituto non venga espunto dal nostro ordinamento.
Istituto con cui, diversamente da quanto si legge nella circolare, non si “deflaziona” certo il carico dei Tribunali né, tantomeno, “si promuovono forme conciliative di risoluzione dei conflitti individuali di lavoro”, ma piuttosto si rafforza un comune sentire diffuso in larghe fasce della società che è sempre più insofferente a determinate forme di esercizio dei poteri autoritativi dello Stato in materia fiscale, contributiva e quant’altro e pretende un radicale ripensamento e “riduzione ad equità” di ciò.

Rispondi