Pasquale Siciliani
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Ha destato molto clamore la recente notizia che Marissa Mayer, CEO di Yahoo, abbia deciso di richiamare a lavorare in azienda tutti i dipendenti in regime di telecommuting, il nostro telelavoro. Il caso non è affatto isolato in quanto altri giganti USA hanno adottato la stessa policy: Bank of America ha abolito lo scorso dicembre il proprio programma di telelavoro in vigore dal 2005 che coinvolgeva circa 15.000 lavoratori, Google e Apple ne hanno stigmatizzato l’utilizzo e il colosso Best Buy ha richiamato in ufficio i propri telelavoratori seguendo le orme di Yahoo.
Le ragioni di questa scelta sono principalmente legate a un’esigenza di maggiore produttività dei dipendenti i quali, lavorando in azienda, sarebbero meno soggetti a distrazioni e trarrebbero indubitabili benefici dal lavoro in team e dal confronto continuo e costruttivo con i colleghi.
L’Italia sembra voler andare controcorrente nonostante oltreoceano la modalità telelavoro stia vivendo un’evidente fase di declino. Le principali forze politiche, vecchie e nuove, sono, infatti, curiosamente allineate nel voler favorire la flessibilità del lavoro dando maggiore slancio a questo strumento che in Italia non ha mai raggiunto una significativa diffusione (secondo un rapporto Isfol solo il 4,3% delle aziende contempla questa modalità di lavoro).
Le responsabilità del mancato decollo del telelavoro nel nostro Paese sono probabilmente da attribuire a una regolamentazione inidonea a declinare le esigenze dei lavoratori quanto quelle dei datori di lavoro. La principale fonte che regola la materia è l’Accordo Interconfederale del 9 giugno 2004 con il quale è stato recepito (o più che altro tradotto) l’Accordo Quadro Europeo sul Telelavoro del 16 luglio 2002. Si tratta appunto di una disciplina quadro nella maggior parte dei casi mai integrata in maniera efficace dalla contrattazione collettiva.
L’Accordo Interconfederale contiene per lo più linee guida e principi generali finalizzati a tutelare i diritti del lavoratore quali la protezione dei dati, la riservatezza e la salute e sicurezza. Come tali tutele debbano essere garantite è di fatto rimesso in larga misura all’interpretazione delle parti. Si pensi alle regole sulla sicurezza (art. 7) in base alle quali il datore di lavoro è genericamente ritenuto responsabile della tutela della salute e della sicurezza professionale del telelavoratore, potendo esercitare tale controllo solo attraverso l’accesso al domicilio del telelavoratore previo preavviso e consenso di quest’ultimo.
Le domande che a questo punto dobbiamo porci sono due: una di tipo “filosofico” e una di carattere più pratico.
La prima: è giusto incentivare un modello fino ad oggi mai veramente esploso mentre le più grandi e innovative aziende del mondo lo ripongono in soffitta? Più banalmente, noi abbiamo ragione e Google, Apple, Yahoo & co. hanno torto? Dare una risposta pienamente affermativa sarebbe forse eccessivamente presuntuoso. Le caratteristiche intrinseche del telelavoro hanno degli indubbi svantaggi. L’alienazione professionale, la necessità di auto-disciplinarsi perché non si è soggetti ad alcun reale controllo, gli elementi di disturbo che possono distogliere dalla prestazione professionale ma anche l’assenza dei famosi cinque minuti per prendere il caffè con il collega sono tutti fattori che posso incidere, alla lunga, sullo stato psicologico e motivazionale del lavoratore limitandone la produttività. Dall’altra parte occorre anche dar conto delle situazioni in cui le modalità di telelavoro potrebbe realmente realizzare quella flessibilità da tutti inseguita. Si pensi ai genitori con figli piccoli (magari incentivando il telelavoro come alternativa al congedo parentale o al part-time), a lavoratori affetti da particolari forme di disabilità ovvero a chi si trova nella condizione di dover lavorare molto distante da dove risiede.
A parere di scrive il telelavoro non deve essere pertanto percepito sic et simpliciter come un’alternativa al lavoro in azienda ma deve essere circoscritto a specifiche situazioni soggettive e utilizzato come risorsa per far incontrare le esigenze del lavoratore e del datore di lavoro.
La seconda questione, di carattere pratico, è come migliorare una normativa troppo fumosa che forse previene i datori di lavoro dall’incoraggiarne l’uso.
Saranno pertanto necessarie norme più dettagliate (in primis sulla sicurezza) e adattate alle diverse circostanze per le quali si fa ricorso al telelavoro. E’ altresì auspicabile una minore rigidità favorendo forme ibride (es. telelavoro solo alcuni giorni a settimana o al mese). Infine, un contributo potrebbe essere dato anche dalle stesse aziende implementando procedure e codici di condotta del telelavoratore con l’obiettivo di evitare cali di produttività e l’emarginazione dalla vita aziendale.