Speciale conciliazione preventiva/4. La conclusione

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Emiliana Dal Bon, www.scdldalbon.it

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La Circ. 3/2012 ammette che si possa addivenire ad un esito negativo e comunque procedersi al licenziamento, al verificarsi delle seguenti condizioni alternative:

  • le parti non hanno trovato un accordo;
  • perché si è verificata l’assenza o l’abbandono da parte di una di esse (evento che va, chiaramente, evidenziato nel relativo verbale).

In realtà tale chiarimento appare incongruo e contradditorio con quanto affermato poco sopra, ossia il fatto che solo la mancata presenza del lavoratore abiliti il datore di lavoro ad attuare il recesso, ma non il viceversa.

In via ulteriore, se per una qualsiasi ragione non è stata effettuata la convocazione per il tentativo di conciliazione richiesto, il datore può procedere con proprio atto di recesso unilaterale, una volta trascorsi i 7 giorni dalla ricezione della propria richiesta di incontro da parte della Direzione territoriale del lavoro.

La mancata composizione della controversia non è però “fine a se stessa” . Infatti anche in questo caso la commissione di conciliazione sarà tenuta a redigere un verbale di mancato accordo che, tuttavia, stando al dettato del comma 8 del nuovo art. 7 della L. n. 604/1966, non può essere generico e privo di contenuti, ma bensì da esso, oltre alla proposta conciliativa della commissione, dovrà desumersi, per espressa previsione del legislatore, “il comportamento complessivo delle parti” che sarà “valutato dal giudice per la determinazione dell’indennità risarcitoria di cui all’art. 18, settimo comma, della legge n. 300/1970 e per l’applicazione degli articoli 91 e 92 del codice di procedura civile“.

Nel verbale dovranno pertanto essere annotate eccezioni sollevate dal lavoratore o da chi lo assiste (ad esempio, si ritiene che il licenziamento prospettato non sia per giustificato motivo oggettivo, ma discriminatorio) o alla assoluta indisponibilità a trovare una soluzione di natura economica alla controversia o ad accettare soluzioni alternative al recesso.

L’art. 1, comma 41, L. 28.06.2012, n. 92 ha disposto che il licenziamento intimato all’esito del procedimento disciplinare di cui all’articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300, oppure all’esito del procedimento di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come sostituito dal comma 40 del presente articolo, produce effetto dal giorno della comunicazione con cui il procedimento medesimo è stato avviato, salvo l’eventuale diritto del lavoratore al preavviso o alla relativa indennità sostitutiva; è fatto salvo, in ogni caso, l’effetto sospensivo disposto dalle norme del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151. Gli effetti rimangono altresì sospesi in caso di impedimento derivante da infortunio occorso sul lavoro. Il periodo di eventuale lavoro svolto in costanza della procedura si considera come preavviso lavorato”

Comportano pertanto la sospensione degli effetti del licenziamento:

  • il recesso intimato nel periodo di tutela della maternità e della paternità;
  • l’infortunio occorso sul lavoro.

L’insorgenza di una malattia non comporta invece alcun effetto sospensivo.

Vale la pensa, sicuramente, approfondire questo aspetto. Il legislatore infatti, è intervenuto risolvendo una questione spinosa connessa alla intimazione del licenziamento: la frequente quanto immediata insorgenza di una malattia con il conseguente differimento degli effetti del licenziamento. L’art. 1, comma 41, della L 92/2012, recita infatti “Il licenziamento intimato all’esito del procedimento disciplinare di cui all’articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300, oppure all’esito del procedimento di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come sostituito dal comma 40 del presente articolo, produce effetto dal giorno della comunicazione con cui il procedimento medesimo è stato avviato, salvo l’eventuale diritto del lavoratore al preavviso o alla relativa indennità sostitutiva; è fatto salvo, in ogni caso, l’effetto sospensivo disposto dalle norme del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151. Gli effetti rimangono altresì sospesi in caso di impedimento derivante da infortunio occorso sul lavoro. Il periodo di eventuale lavoro svolto in costanza della procedura si considera come preavviso lavorato.”

Ciò pare comportare (il condizionale è d’obbligo) che, anche in caso di insorgenza di malattia, gli effetti del licenziamento dovrebbero comunque decorrere dal ricevimento della comunicazione di attivazione della procedura di cui all’art. 7 c. 1 della L 604/66. Rimane da capire, in questo caso, se debba essere presa in considerazione con dies a quo quello di ricezione dal parte della DTL competente (come parrebbe intendersi dalla lettura della circolare n° 3/2012) oppure dalla data di ricezione della comunicazione da parte del lavoratore (come sarebbe sicuramente più logico attendersi).

Rimane ora una perplessità che forse sarebbe stato opportuno che la circolare avesse provveduto a chiarire: qualora sopravvenga uno stato di malattia, dal momento che la legge ritiene esperito come preavviso unicamente l’eventuale lavoro svolto in costanza della procedura, se, da un lato, risulta chiaro che gli effetti del licenziamento non vengono sospesi, d’altra parte viene da domandarsi se possa computarsi l’intercorso periodo come valido ai fini del decorso del preavviso o piuttosto questo non debba essere riconosciuto a titolo di indennità sostitutiva del preavviso non trattandosi di “lavoro svolto”. Qualora tale lettura venisse confermata il legislatore avrebbe certo contenuto gli effetti di “prassi dilatorie” ma non ne avrebbe annullato gli effetti quanto meno di ordine economico.

Nella interpretazione ministeriale, come evidenziato, l’avvio del procedimento viene fatto coincidere con il giorno di ricezione, da parte dell’Ufficio, della comunicazione datoriale relativa al “preavviso di licenziamento” ed il periodo di eventuale lavoro svolto in costanza della procedura si considera come “preavviso lavorato”, con corrispondente riduzione della relativa indennità in ragione della retribuzione corrisposta nello stesso periodo.

La circolare si preoccupa di precisare anche quali siano gli obblighi di comunicazione al Centro per l’impiego richiamando la lettera circolare del 12 ottobre 2012 secondo la quale “esigenze di certezza in ordine agli esiti delle procedure di licenziamento impongono di individuare come dies a quo, ai fini della comunicazione in questione, quello della risoluzione del rapporto senza tener conto della circostanza secondo la quale la stessa risoluzione “produce effetto dal giorno della comunicazione con cui il procedimento medesimo è stato avviato”, così come prevede l’art. 7. comma 41, della L. n. 604/1966 come sostituito dall’art. 1, comma 40, della L. n. 92/2012. In tal caso, pertanto, si ritiene che gli effetti retroattivi del licenziamento non debbano incidere sui termini di effettuazione dell’obbligo di comunicazione al Centro per l’impiego”.

L’esito positivo del tentativo di conciliazione viene a configurarsi sia qualora si raggiunga l’accordo su soluzioni alternative al licenziamento (si pensi, ad esempio, ad un trasferimento, alla trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale), sia nella ipotesi in cui si arrivi ad una risoluzione consensuale del rapporto.

Resta inteso che in entrambe le ipotesi il recesso del lavoratore è comunque inoppugnabile. Questo perché eventuali soluzioni alternative al licenziamento saranno oggetto di verbalizzazione dei contenuti ex art. 410 cpc, mentre la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro essendo la stessa sottoscritta avanti alla commissione provinciale di conciliazione, presieduta da un funzionario della Direzione del lavoro, è chiaramente esaustiva rispetto alla procedura di cui all’art. 4, comma 17, della L 92/2012 e, comunque, sufficiente a non imporre al lavoratore un ulteriore passaggio avanti ad uno degli organismi a ciò abilitati. tra i quali è previsto lo stesso organo periferico del Ministero. Nel verbale verranno altresì prese in considerazione anche eventuali incentivazioni di natura economica.

La circolare precisa altresì che qualora emerga l’esigenza, in sede di accordo sulla risoluzione del rapporto, di comporre anche questioni di natura economica afferenti il rapporto di lavoro come, ad esempio, le differenze retributive, le ore di lavoro straordinario o il trattamento di fine rapporto, il verbale potrà contenere anche gli accordi circa dette pendenze, a condizione che il lavoratore abbia la consapevolezza della definitività della questione e la sua conseguente inoppugnabilità ex art. 410 c.p.c.. Qualora il tentativo di composizione non produca esito positivo circa le ulteriori questioni sollevate rispetto al licenziamento, si renderà necessario “stralciare” la parte relativa alla “chiusura delle pendenze economiche” e concentrarsi soltanto su quello che è l’obiettivo della procedura, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

In relazione a quanto sopra va osservato che, in caso di somme corrisposte a vario titolo al lavoratore (ad accettazione della risoluzione del rapporto, differenze paga, TFR ecc.), è opportuno evidenziare separatamente le stesse e, in particolare, quelle finalizzate all’accettazione del licenziamento.

Si ricorda che la risoluzione consensuale del rapporto al termine della procedura obbligatoria di conciliazione è una delle ipotesi individuate dal Legislatore (art. 7, comma 7, della L. n. 604/1966) che, derogando alla disciplina ordinaria, riconosce al lavoratore il diritto al “godimento” dell’Assicurazione Sociale per l’Impiego (ASpl), destinata a sostituire la “vecchia” indennità ordinaria di disoccupazione.

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