Social network e diritto del lavoro: quali regole?

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Pasquale Siciliani
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Il fenomeno è già dilagante. I processi di recruiting dei datori di lavoro prevedono sempre più frequentemente indagini sui candidati attraverso i social networks. Secondo alcuni studi, per oltre il 90% dei recruiters, negli Stati Uniti la “web reputation” del candidato è un fattore da prendere in considerazione per la selezione. In Italia il fenomeno è più limitato ma in costante incremento anche se difficilmente quantificabile.
Ma cos’è la “web reputation”? Potremmo definirla come la percezione che un individuo offre di sé all’esterno attraverso le informazioni reperibili da internet e, in particolare, dal proprio profilo sui social networks (es. Facebook, Linkedin, Twitter). Una foto sconveniente, un commento negativo sul precedente datore di lavoro, un’invettiva politica o un linguaggio aggressivo possono essere giudicati agli occhi di un recruiter come fattori negativi, fino a rendere il profilo di un potenziale candidato inidoneo alla posizione.
Si dice che la nuova frontiera del diritto sia quella del web. Un mondo con poche regole, evidenti problemi di privacy e scarsità di tutele per gli utenti, soprattutto nella veste di candidati per un posto di lavoro.
Nel nostro ordinamento la principale norma con la quale questo fenomeno si deve misurare è l’art. 8 dello Statuto dei Lavoratori che vieta indagini sul lavoratore, sia in fase di assunzione che nel corso dello svolgimento del rapporto, in merito a fatti non rilevanti ai fini della valutazione all’attitudine professionale.
Sembra paradossale ma la nuova frontiera del recruitment deve fare i conti con una norma concepita quarantatré anni fa quando internet era ancora ben lontano dall’essere inventato.
La prima domanda che ci poniamo è se tutti i social networks siano uguali ai fini che ci interessano. In un primo momento sembrerebbe potersi affermare di no. Da una parte Linkedin sembra essere uno strumento prevalentemente lavorativo nel quale vengono condivise informazioni sulla propria professionalità e, come tali, apparentemente non in conflitto con i precetti dell’art. 8. Dall’altra, sembra più facile che Facebook, Twitter, MySpace e simili, avendo una diversa finalità, contengano informazioni su un candidato non propriamente rilevanti ai fini della valutazione all’attitudine professionale. Tale distinzione è colta dall’ordinamento tedesco nel quale una legge del 2010 ha vietato al datore di lavoro di utilizzare informazioni sul lavoratore ottenute da Facebook e Twitter ma non da Linkedin e simili circuiti professionali.
Dunque Linkedin sì e Facebook no? Un’analisi più attenta ci spinge a escludere questa lettura, almeno alla luce del diritto vigente. L’art. 8 dello Statuto dei Lavoratori tutela, infatti, il lavoratore a prescindere dalla fonte delle informazioni. Si dovrà pertanto valutare caso per caso quale informazione sarebbe lecito utilizzare e quale no per selezionare un candidato.
Tuttavia questo esercizio è meramente teorico in quanto il recruiter di turno, avendo libero accesso alla web reputation del candidato, potrà trarre indisturbato le sue conclusioni senza avere l’obbligo di motivare la sua decisione.
Ciò introduce un’ulteriore riflessione; vale a dire se i dati personali, una volta immessi nel web dall’interessato, possano essere considerati di pubblico dominio e dunque il loro utilizzo non dovrebbe essere ritenuto un’attività di indagine ai sensi dell’art. 8. In linea di principio è infatti l’interessato a mettere volontariamente i propri dati a disposizione di ignoti sul web pur essendo libero di non farlo ovvero di impostare i propri “privacy settings” e impendendo, ad esempio, l’accesso al proprio profilo a soggetti non autorizzati.
Peraltro, i punti di contatto tra i social networks e il diritto del lavoro non si esauriscono nel processo di assunzione ma possono avere anche riflessi sul controllo e sulla condotta dei lavoratori nel corso del rapporto di lavoro o addirittura dopo la sua cessazione (si pensi ad esempio a una società che monitori il profilo Linkedin di un ex-dipendente assicurandosi che non violi un patto di non concorrenza).
Se questi sono gli spunti di riflessione sulla base degli scarsi riferimenti legislativi esistenti, de iure condendo il terreno è certamente fertile per ridisegnare la normativa in modo innovativo e al passo con i tempi con norme più vicine alla realtà. In ogni caso, ci auspichiamo di assistere molto presto alla nascita di nuovi orientamenti giurisprudenziali su questa materia essendo i social networks entrati ormai a tutto tondo nella vita degli individui, inclusa la loro sfera professionale.

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