Giampiero Falasca
La legge Fornero, nel suo tentativo furibondo di rivisitare tutto l’assetto del diritto del lavoro, ha ritenuto necessario intervenire sul processo del lavoro. La scelta è stata dettata da uno slogan tanto efficace quanto lontano dalla realtà: bisogna velocizzare il processo del lavoro. Esigenza nobile, chi non può condividerla? Il problema sta nel modo con cui si è scelto di farlo. La legge – nell’evidente tentativo di fare le famose nozze con i fichi secchi – pensa di raggiungere un obiettivo così ambizioso con un tratto di penna, senza mettere un euro nel sistema. Abbiamo così il paradosso che il processo più rapido che esiste – quello lavoristico – venga “sfiduciato” in favore di un rito sommario, che ancora oggi viene guardato con diffidenza dagli avvocati e dai magistrati, per la sua oscura costruzione. Chiunque in questi mesi ha partecipato ad un’udienza del nuovo rito, può testimoniare un fatto: nessuno ha chiari i confini di questa procedura. L’unico aspetto chiara è uno, abbastanza paradossale: i gradi di giudizio, che prima erano 3, nella sostanza oggi sono diventati 4. Il processo, quindi, ha un inizio di (teorica) maggiore rapidità, ma nel complesso dura più di prima! Oltre ad essersi allungato, il rito del lavoro perde molte certezze. Ci sono punti oscuri che rendono impossibile sapere prima, con certezza, quale scelta si deve compiere. Non è chiaro ad esempio il destino delle domande, accessorie a quella di impugnazione del licenziamento, che non possono essere trattate nel rito: alcuni Tribunali propendono per l’inammissibilità della domanda, altre sedi ritengono sufficiente disporre il mutamente di rito e fissare una nuova udienza per discutere questi aspetti. Non è pacifica e condivisa neanche l’elencazione delle questioni che possono essere discusse in questo rito: il Tribunale di Milano esclude la somministrazione di lavoro, altre sedi la includono. In conclusione; processo più lungo, regole indecifrabili che rendono imprevedibile l’esito. Nel frattempo, il Tribunale di Vicenza soffoca di cause, con due magistrati che devono gestire migliaia di causa in un territorio ad altissima intensità industriale, ed è costretto a fissare le udienza nel 2015 e anche oltre. Speriamo che qualcuno prenda coraggio e affronti questi temi, che toccano la vita delle persone e delle aziende, con serietà e senza andare dietro a slogan improvvisati. In questo modo, la politica potrebbe riprendere quel consenso che oggi manca, proprio perché non si affrontano con la dovuta concretezza i problemi del Paese.