Dario Clementi
Come noto, la “Legge Fornero”, ha provato a porre un limite all’“abnorme” utilizzo del contratto a progetto, attraverso previsioni volte a far si che lo stesso fosse applicabile esclusivamente per lo svolgimento di attività connotate dal raggiungimento di uno specifico risultato, obiettivamente riscontrabile e non coincidente con l’oggetto sociale dell’impresa committente.
La nuova normativa ha posto il problema di capire se fosse ancora possibile utilizzare la tipologia contrattuale delle co.co.pro. anche in caso di lavoro svolto all’interno delle organizzazioni non governative (ONG/ONLUS) e di organizzazioni aventi finalità socio/assistenziali e sanitaria, nonché nelle attività svolte nel settore commerciale dai c.d. “promoters”.
Con la Circolare n. 7 del 20 febbraio 2013 il Ministero del Lavoro è intervenuto facendo chiarezza sul punto.
Nell’ambito delle ONG/ONLUS e di altre tipologie di organizzazioni socio assistenziali, operanti principalmente per il raggiungimento di scopi sociali e nelle quali, perciò, la finalità sociale caratterizza l’oggetto, è possibile individuare specifici progetti che, pur contribuendo al raggiungimento dello scopo sociale, se ne distinguono mediante la puntuale declinazione di elementi specializzanti che consentono l’attivazione di forme di collaborazioni coordinate e continuative riconducibili alla disciplina di cui agli artt. 61 e ss. del D.Lgs. n. 276/2003, come modificati dall’art. 1, commi 23-25, della L. 92/2012.
Dunque, in tal caso, la sussistenza di una vera co.co.pro. è condizionata dalla presenza di elementi specializzanti come l’assoluta determinatezza dell’oggetto dell’attività, la circoscritta individuazione dell’arco temporale per l’espletamento di detta attività, apprezzabili margini di autonomia anche di tipo operativo da parte del collaboratore, nonché l’obiettiva possibilità di verificare il raggiungimento dei risultati attesi.
Questo passaggio lascia grandi perplessità: se la legge ha vietato di utilizzare la co.co.pro. per attività rientranti nell’oggetto sociale, come si può tentare di smentire questa scelta con sottogliezze che, alla prova del contenzioso, rischiano di essere spazzate via dal Giudice (che, ovviamente, non ha alcun obbligo di applicare la circolare)?
Meno problematica è la parte della circolare in cui si parla eell’attività di promoter. A tale riguardo, il Ministero del Lavoro ha tenuto a precisare che, trattandosi di una figura che va ad identificarsi non solo con il soggetto che promuove un prodotto ma anche con chi lo vende in strutture commerciali, ossia attività che involgono compiti per lo più di carattere operativo, detta figura risulta difficilmente inquadrabile nell’ambito di un vero e proprio rapporto di co.co.pro.
La L. 173/2005 reca le disposizioni in merito alla vendita diretta a domicilio ed è principalmente a questa che bisogna far riferimento nell’inquadrare l’attività del promoter; solo ove tale disciplina non trovi applicazione, il personale ispettivo sarà tenuto ad esaminare la fattispecie concreta posta in essere ed eventualmente ricondurre nell’ambito della subordinazione le eventuali co.co.pro., verificando prima la sussistenza dei requisiti richiesti dall’art. 61, D.Lgs. 276/2003.
Va ricordato che questa attività è stata oggetto di un interessante esperimento di “contratto di prossimità su scala nazionale”, mediante il quale sono state create condizioni volte ad agevolare l’utilizzo del lavoro subordinato per i promoter ed i merchandiser.