(Gianni Bocchieri)
La Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome, ha approvato le “linee guida in materia di tirocini”. Si dovrebbe chiudere così una vicenda di interventi normativi stratificati e di conflitto interistituzionale tra Stato e Regioni, durata troppo a lungo.
Introdotti dal pacchetto Treu del 1997 e disciplinati da un decreto ministeriale dell’anno successivo, i tirocini formativi hanno subito costituito un importante canale di inserimento nel mondo del lavoro, durante o al termine di un percorso di istruzione e formazione.
Con la riforma costituzionale del 2001, le Regioni hanno acquisito potestà legislativa esclusiva in materia di formazione e lavoro. Quindi, pur mantenendo piena efficacia normativa, la disciplina legale dei tirocini è diventata “cedevole” rispetto alla legislazione regionale. Vale a dire, le regioni hanno acquisito il potere di dettare una diversa regolamentazione dei tirocini rispetto a quella nazionale.
Si è potuto capire il vero significato di questa nuova attribuzione legislativa alle Regioni, quando la riforma Biagi del 2003 disciplinò i tirocini estivi di orientamento, promossi durante le vacanze estive a favore di un adolescente o di un giovane, regolarmente iscritto a un ciclo di studi presso una università o un istituto scolastico di ogni ordine e grado.
Per rivendicare la lesione delle competenze attribuite dal nuovo testo costituzionale del 2001, alcune Regioni impugnarono la norma presso la Corte Costituzionale e la Consulta accolse il ricorso, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’intervento della Riforma Biagi e stabilendo che la regolamentazione dei tirocini appartiene alla competenza legislativa esclusiva delle Regioni, senza la possibilità di un intervento concorrente della legislazione statale.
Nel 2011, la disciplina dei tirocini è stata modificata da un nuovo intervento normativo che ha introdotto alcuni limiti, che ne intendevano limitare gli abusi e di nuovo alcune Regioni hanno promosso un giudizio di legittimità costituzionale avanti alla Corte Costituzionale.
Durante tale giudizio, il Governo ha difeso la legittimità della norma, sostenendo che si limitava a fissare solamente i “livelli essenziali delle prestazioni” di competenza statale.
Ancora una volta, la Consulta ha rigettato questi argomenti ed ha dato ragione alle Regioni, sostenendo che la norma contestata non si limitava a fissare i livelli minimi essenziali, ma si spingeva a definire una disciplina sostanziale dei tirocini di inserimento lavorativo. Per effetto di questa sentenza costituzionale, sono venute meno anche i limiti antiabusi introdotti dall’ultimo intervento normativo.
Da ultimo, la riforma Fornero del mercato del lavoro ha previsto una norma senza contenuto precettivo, che impegna il Governo a sottoscrivere l’accordo con le Regioni in materia di tirocini, sottoscritto pochi giorni fa.
L’accordo definisce un quadro regolatorio, che sarà successivamente tradotto in norme vincolanti dalle singole Regioni. Si tratta di un provvedimento organico che disciplina già tutti gli aspetti operativi e giuridici dei tirocini quale situazione diversa dal rapporto di lavoro.
Per evitare l’abuso dei tirocini, l’accordo riprende integralmente quanto era stato fissato dalla norma del 2011 dichiarata incostituzionale.
Infatti, le linee guida prevedono che i tirocini formativi e di orientamento possono essere attivati solamente entro i dodici mesi successivi al conseguimento del diploma e della laurea. Inoltre, come la norma del 2011, le linee guida prevedono che la durata massima dei tirocini formativi e di orientamento non può essere superiore a sei mesi, comprensivi di eventuali proroghe. Mentre quella dei tirocini di inserimento o di reinserimento non può essere superiore a dodici mesi, elevata a ventiquattro mesi per i disabili.
È sicuramente singolare che le Regioni abbiano adottato anche le norme che hanno fatto dichiarare incostituzionali. Seppure con finale diverso, questa storia ricorda un po’ quella di Bertoldo, che accettò di essere impiccato solo a condizione di poter scegliere l’albero a cui essere appeso.