Apprendistato: come scrivere il contratto?

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Giampiero Falasca

Giampiero Falasca

Il grande sforzo che sta compiendo il Ministero del lavoro – anche a livello di comunicazione – per convincere le imprese ad utilizzare il contratto di apprendistato rischia di essere vanificato da una cattiva gestione a livello aziendale del contratto. L’esperienza di questi mesi ha, infatti, portato all’attenzione di molti operatori una realtà inattesa: il mercato del lavoro non ha ancora compreso fino in fondo come deve essere utilizzato il nuovo sistema di regole applicabili all’apprendistato. Si tratta di un fenomeno sorprendente, se si pensa che una delle principali qualità del Testo Unico del 2011 è proprio la semplicità delle regole. Questo ritardo emerge, in concreto, dalla lettura di molti contratti di apprendistato, che contengono alcuni errori abbastanza gravi. Un errore banale, forse innocuo, ma comunque indicativo del ritardo, è la citazione delle norme: molti contratti di apprendistato ancora riportano i riferimenti alla riforma Biagi (il d.lgs. n. 276/2003) e agli articoli (da 47 in poi) che regolavano la fattispecie prima dell’approvazione del Testo Unico. L’errore può essere considerato un mero refuso, ma può tradursi anche in una svista più grande, se le parti del contratto non si limitano a citare le norme sbagliate ma le applicano anche. Ancora più grave e ricorrente l’errore che riguarda la parte formativa del contratto. Non è raro trovare contratti dove manca, nella forma e nella sostanza, il piano formativo individuale. A volte il documento non è neanche abbozzato: ci si trova di fronte ad un normale contratto di lavoro, privo di qualsiasi indicazione sui percorsi formativi. Altre volte l’errore è meno evidente, ma non per questo meno grave: ci si trova di fronte a contratti che abbozzano un piano formativo, ma questo è del tutto scollegato dalle norme del contratto collettivo che regolano la materia. Altro aspetto di grande criticità attiene alle modalità di svolgimento della formazione. I contratti collettivi di norma individuano un monte ore minimo di formazione annua che deve essere svolto, fissano dei contenuti essenziali della formazione e lasciano all’azienda il compito di definire le modalità di svolgimento del relativo percorso. Molti contratti ignorano completamente questo aspetto, omettendo di dare qualsiasi indicazione al riguardo. Altro aspetto problematico riguarda la qualifica acquisita al termine del periodo di apprendistato: il contratto dovrebbe specificare con esattezza quale qualifica sarà acquisita, indicando anche le progressioni di livello che saranno attribuite all’apprendista durante il periodo formativo. Anche questa indicazione è spesso carente, con la conseguenza che non è ben chiaro se il datore di lavoro intende applicare le regole previste dal suo contratto collettivo, oppure – come è sua facoltà – ha deciso di rinunciare alla possibilità di sottoinquadrare l’apprendista. Questa situazione, come si diceva in apertura, è alquanto paradossale, perché il Testo Unico del 2011 consente di utilizzare l’apprendistato professionalizzante in maniera semplice ed agile. Il rischio che corrono i contratti scritti in questa maniera è molto semplice: se manca completamente la pianificazione formativa, sarà molto difficile sfuggire all’applicazione delle sanzioni più rigide che si applicano al rapporto (riqualificazione in un contratto ordinario, perdita degli sgravi, sanzioni economiche), e sarà difficile invocare le cautele, molto apprezzate per il loro equilibrio, previste dalla circolare n. 5/2013 in materia di vigilanza sull’apprendistato.

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