La nuova disciplina delle dimissioni (e delle risoluzioni consensuali) introdotta dalla riforma Fornero trasforma un momento tradizionalmente semplice della vita aziendale in un percorso ad ostacoli, nel quale le parti – il datore di lavoro e il lavoratore – sono costretti a compiere molti adempimenti, di cui nessuno sentiva il bisogno. La finalità che giustifica questo intervento, secondo quanto si legge nella relazione illustrativa della legge n. 92/2012, è molto nobile: contrastare il fenomeno delle dimissioni bianco, che si verifica quando il datore di lavoro, al momento dell’assunzione, estorce al dipendente la firma di una lettera con la quale lo stesso risolve il rapporto di lavoro. E’ una pratica che, ad avviso di chi scrive, ha una diffusione molto circoscritta, ma è comunque molto grave. Il problema è che il legislatore, per contrastare questo illecito, sceglie una strada che penalizza soprattutto quei datori di lavoro – la stragrande maggioranza – i quali non hanno niente a che fare con questa pratica illecita, ma che si trovano a dover fare i conti con l’ennesimo appesantimento burocratico che rende la gestione del lavoro sempre più complessa. Il punto di partenza della nuova procedura è la lettera con la quale il dipendente comunica la propria volontà di lasciare il lavoro; fino all’approvazione della legge n. 92/2012, questo atto poteva essere compiuto in qualsiasi forma, ed esplicava i suoi effetti dal momento in cui veniva portato a conoscenza del datore di lavoro.
Con la nuova normativa, la lettera di dimissioni diventa solo il primo momento del percorso di uscita dal lavoro, in quanto la risoluzione del rapporto diventa efficace solo dopo che è stata esperita una specifica procedura. In particolare, dopo la ricezione delle dimissioni (ed entro 30 giorni da tale momento, come spieghiamo meglio a lato) il datore di lavoro deve preoccuparsi di acquisire dal lavorare la convalida delle dimissioni, invitandolo – in forma scritta – a confermare formalmente la propria volontà di lasciare il lavoro. Una volta ricevuto l’invito, ed entro 7 giorni da tale momento, il lavoratore ha di fronte a sé diverse opzioni per convalidare l’atto di recesso dal rapporto.
La prima forma di convalida è quella che si può svolgere presso alcune sedi che già svolgono importanti funzioni in materia di lavoro, come la Direzione territoriale del lavoro, il Centro per l’impiego territorialmente competenti, oppure le sedi individuate dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale.
In alternativa a tale strada, il lavoratore può convalidare le dimissioni sottoscrivendo un’apposita dichiarazione in calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro che l’azienda è obbligata ad inviare al Centro per l’impiego entro cinque giorni dalla data in cui è prevista la cessazione del rapporto.
In aggiunta alle procedure appena descritte, il Ministero del lavoro, con un apposito decreto, potrebbe prevederne altre; è auspicabile che questa opzione venga usata dal Ministero per trovare forme ancora più agili di esecuzione della procedura.
La legge Fornero cambia anche la disciplina applicabile alle dimissioni delle madri e dei padri nei primi anni di vita del bambino. In questi casi, viene confermata la procedura speciale, già esistente, la quale subordina la validità e l’efficacia della risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice in gravidanza, oppure dalla madre e dal padre fino a una certa età del figlio, allo svolgimento di una procedura di convalida da svolgersi presso il servizio ispettivo del ministero del Lavoro e delle politiche sociali o i Centri per l’impiego. Il cambiamento, non irrilevante, riguarda tuttavia il periodo sino al quale deve essere svolta la convalida: si passa da 1 anno a 3 anni.
Il fenomeno delle dimissioni in bianco viene affrontato anche sul versante delle sanzioni.
In particolare, la riforma introduce una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 ad euro 30.000 nelle ipotesi in cui il datore di lavoro abusi del foglio firmato in bianco dalla lavoratrice o dal lavoratore al fine di simularne le dimissioni o la risoluzione consensuale del rapporto; questa ipotesi non esclude l’avvio dell’azione penale (in ipotesi di dimissioni in bianco sottoscritte al momento dell’assunzione la giurisprudenza ritiene configurabile il reato di estorsione, sanzionato con la reclusione da cinque a 10 anni o la multa da 500 a 2.066 euro).