La riforma Fornero introduce un rito processuale speciale per le controversie relative alla legittimità del licenziamento che, nelle intenzioni del legislatore, dovrebbe condurre ad ottenere rapidamente una pronuncia in merito da parte del Giudice.
Preliminarmente occorre osservare come la Legge n. 92/2012 intervenga sul termine entro il quale, a pena di decadenza, deve essere proposto il ricorso; pur lasciando inalterato il termine pari a 60 giorni dalla comunicazione del licenziamento per l’impugnativa stragiudiziale, la riforma Fornero, infatti, riduce il termine introdotto dal Collegato Lavoro per l’impugnativa giudiziale del licenziamento: l’impugnazione del licenziamento è inefficace se non è seguita entro 180 giorni dal deposito del ricorso nella cancelleria del giudice del lavoro ovvero dalla richiesta di tentativo di conciliazione e arbitrato introdotto dalla Legge n. 183/2010 (in luogo del termine pari a 270 giorni previsto dal Collegato Lavoro).
Il nuovo procedimento è articolato in due fasi: la prima – sommaria – finalizzata a garantire al lavoratore una tutela urgente, che dovrebbe iniziare e concludersi in un’unica udienza con l’ordinanza di accoglimento ovvero di rigetto della domanda; la seconda – eventuale e a cognizione piena – che inizia con l’opposizione all’ordinanza di accoglimento o rigetto e si svolge nelle forme ordinarie in vigore per il rito del lavoro.
Potranno accedere al rito speciale per le dispute in tema di licenziamento non solo le controversie aventi ad oggetto l’impugnativa di licenziamenti nelle ipotesi regolate dall’art. 18 della legge n. 300/1970, ma anche quelle che comportino, insieme al recesso, la risoluzione preventiva di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro.
La nuova procedura si apre con il deposito di un ricorso al Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro; con il ricorso, dunque, si apre la prima fase, improntata alla massima urgenza, che consente al ricorrente di beneficiare degli effetti propri del procedimento ex art. 700 c.p.c. senza però dover dimostrare la ricorrenza dei rigidi requisiti che devono necessariamente sostenere quest’ultimo, ossia il periculum in mora e il fumus boni juris.
Il ricorso introduttivo deve avere tutti i requisiti di cui all’art. 125 c.p.c., vale a dire l’identificazione dell’ufficio giudiziario, delle parti e dei rispettivi difensori, l’oggetto, le ragioni della domanda e le conclusioni; si ritiene tuttavia che il ricorso debba altresì contenere l’indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali il ricorrente intende avvalersi, altrimenti non si comprenderebbe come il giudice possa procedere, alla prima udienza, agli atti di istruzione indispensabili richiesti dalle parti.
Depositato il ricorso, il giudice assegnatario, non oltre 40 giorni dal deposito del ricorso, fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti e il relativo decreto, deve essere notificato alla controparte (anche a mezzo di posta elettronica certificata), unitamente al ricorso, nel termine assegnato dal giudice, non inferiore a 25 giorni prima dell’udienza; con il medesimo decreto il giudice assegna al resistente un termine non inferiore a 5 giorni prima dell’udienza per la sua costituzione.
In assenza di espressa previsione in tal senso, si ritiene che il convenuto debba costituirsi in giudizio redigendo una memoria ai sensi dell’art. 416 c.p.c.
Compiuti tutti gli adempimenti introduttivi, si giunge all’udienza di comparizione delle parti nella quale il giudice, sentite le parti e omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili richiesti dalle parti o disposti d’ufficio ai sensi dell’art. 421 c.p.c. e provvede, con ordinanza immediatamente esecutiva, all’accoglimento o al rigetto della domanda. L’ordinanza non può essere sospesa o revocata fino all’eventuale sentenza con la quale il giudice della seconda eventuale fase del primo grado di giudizio definisce la controversia innanzi allo stesso proposta.
Con la suddetta ordinanza si conclude la fase sommaria del nuovo procedimento; la stessa potrà però essere impugnata dalla parte soccombente, inaugurando così la seconda eventuale fase a cognizione piena.
Tale seconda fase si apre dunque con l’opposizione avverso l’ordinanza sommaria, da proporsi con ricorso ex art. 414 c.p.c. allo stesso Tribunale che ha emesso il provvedimento opposto; il ricorso deve essere presentato a pena di decadenza entro 30 giorni dalla notificazione dell’ordinanza opposta o dalla sua comunicazione qualora questa sia anteriore. Con il ricorso in opposizione non possono essere presentate domande diverse da quelle relative ai licenziamenti nelle ipotesi di cui all’art. 18 della Legge n. 300/1970 anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto, salvo che le stesse domande siano fondate su identici fatti costitutivi o siano svolte nei confronti di soggetti rispetto ai quali la causa è comune o dai quali si intende essere garantiti.
Depositato il ricorso, il giudice fissa con decreto l’udienza di discussione non oltre i successivi 60 giorni e assegna all’opposto un termine per costituirsi fino a 10 giorni prima dell’udienza; il ricorso e il decreto devono essere notificati dall’opponente all’opposto almeno 30 giorni prima della data fissata per la sua costituzione, anche a mezzo di posta elettronica certificata.
L’opposto si costituisce in giudizio mediante deposito in cancelleria di una memoria redatta ai sensi dell’art. 416 c.p.c. e nel rispetto delle decadenze ivi previste anche in relazione alla chiamata in causa di terzo e separate eventuali questioni proposte in via riconvenzionale laddove non fondate su fatti costitutivi identici a quelli posti a base della domanda principale; l’udienza di discussione si terrà entro 60 giorni dal deposito del ricorso (il termine potrebbe però slittare in caso di chiamata in causa del terzo).
All’udienza il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione ammissibili e rilevanti richiesti dalle parti nonchè disposti d’ufficio ai sensi dell’art. 421 c.p.c.; prima dell’udienza di discussione il giudice può, qualora lo ritenga opportuno, assegnare alle parti un termine fino a 10 giorni prima dell’udienza per il deposito di note difensive.
Conclusa la seconda fase del primo grado di giudizio, il giudice provvede con sentenza all’accoglimento o al rigetto della domanda la quale deve essere depositata, completa di motivazione, entro 10 giorni dall’udienza di discussione; la sentenza è provvisoriamente esecutiva e costituisce titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale.
La sentenza che definisce il giudizio di opposizione è reclamabile con ricorso innanzi alla Corte d’Appello entro 30 giorni dalla comunicazione della sentenza o dalla notificazione se anteriore; in questo secondo grado di giudizio viene mantenuto il divieto di ammettere nuovi mezzi di prova o nuovi documenti, salvo che il collegio, anche d’ufficio, li ritenga indispensabili per la decisione ovvero la parte dimostri di non averli potuti proporre in primo grado per causa alla stessa non imputabile.
Depositato il ricorso, la Corte fissa con decreto l’udienza di discussione nei successivi 60 giorni, assegnando all’opposto termine per costituirsi fino a 10 giorni prima dell’udienza; il ricorso e il decreto devono essere notificati dall’opponente all’opposto almeno 30 giorni prima della data fissata per la sua costituzione, anche a mezzo di posta elettronica certificata. Alla prima udienza la Corte può sospendere l’efficacia della sentenza reclamata qualora ricorrano gravi motivi; successivamente, sentite le parti e omessa ogni formalità non necessaria al contraddittorio, procede nel modo più opportuno agli atti di istruzione ammessi e, se lo ritiene necessario, assegna alle parti termine per il deposito di note difensive fino a 10 giorni prima dell’udienza di discussione.
La sentenza con la quale la Corte provvede all’accoglimento o al rigetto della domanda deve essere depositata, completa di motivazione, entro 10 giorni dall’udienza di discussione.
Contro la sentenza emessa dalla Corte d’Appello può essere proposto ricorso davanti alla Corte di Cassazione entro 60 giorni dalla comunicazione della stessa o dalla notificazione se anteriore (in mancanza di comunicazione o notificazione si applicano i termini di cui all’art. 327 c.p.c.); la Corte di Cassazione dovrà fissare l’udienza di discussione non oltre 6 mesi dalla proposizione del ricorso.
La sospensione dell’efficacia della sentenza della Corte d’Appello deve essere richiesta a quest’ultima, che la concede qualora ricorrano gravi motivi.
La riforma prevede, infine, che alla trattazione dell controversie in tema di licenziamenti devono essere riservati particolari giorni del calendario delle udienze e che il nuovo rito si applica esclusivamente alle controversie sorte dopo l’entrata in vigore della Legge n. 92/2012.
La riforma persegue lo scopo dichiarato di accelerare e snellire il processo del lavoro in caso di licenziamenti nell’interesse del lavoratore e del datore di lavoro; in questo senso senz’altro depongono i rigidi termini previsti, la riduzione del termine per la proposizione del ricorso, l’eliminazione “delle formalità non essenziali al contraddittorio”, la possibilità di procedere alla notifica del ricorso tramite posta elettronica.
Tuttavia, non può tacersi come, di fatto, sia stata introdotta un’ulteriore fase del giudizio – quella caratterizzata dall’urgenza – sebbene ciò sia stato realizzato frammentando in due fasi distinte il primo grado di giudizio; e non può non rilevarsi come tale frammentazione abbia altissime probabilità di rivelarsi inutile soprattutto nelle piccole realtà in cui, la probabilità che il giudizio di opposizione venga assegnato al medesimo giudice che ha emesso l’ordinanza impugnata, è particolarmente elevata, con conseguente inefficacia della fase di opposizione sotto il profilo della rimeditazione da parte di un giudice diverso rispetto a quello che già si è pronunciato.
Il tempo dirà se le nuove disposizioni avranno un impatto positivo sui tempi processuali, anche se l’abnorme carico dei ruoli dei magistrati resta un problema privo di soluzione che, inevitabilmente, impedirà di realizzare l’obiettivo di celerità perseguito dalla legge di riforma.