Il decreto sull’agenda digitale cambia nuovamente la disciplina del contratto a termine, a conferma che il nostro ordinamento sta attraversando una fase di grande frenesia legislativa. Dopo che nel mese di luglio la riforma Fornero ha reso più difficile l’utilizzo di questo contratto, e nel mese di agosto il decreto sviluppo ha leggermente attenuato il rigore di alcune (poche) delle nuove norme, arriva ora un’ulteriore riforma, che per un certo segmento del mercato – le c.d. start up innovative – liberalizza in maniera massiccia le regole applicabili al contratto. Questa incessante opera di riscrittura, aggiustamento e rivisitazione delle regole rischia di vanificare anche la portata innovativa di quelle disposizioni che potrebbero invece favorire la crescita, come quelle contenute nell’ultimo decreto.
Le novità si applicano alle sole imprese che rientrano nella nozione di start up innovativa, e per un periodo massimo di 4 anni dalla loro costituzione.
La prima innovazione riguarda la causale: l’obbligo di indicare le esigenze di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo che rende necessaria l’apposizione del termine non si applica qualora il contratto a tempo determinato sia stipulato da una start-up innovativa, per lo svolgimento di attività inerenti all’oggetto sociale della stessa.
Quest’ultima precisazione è importante, in quando esclude dal regime agevolato quei contratti a termine stipulati dall’impresa per attività che non rientrano nel proprio core business.
Il contratto privo di causale può essere stipulato per una durata minima di sei mesi ed una massima di trentasei mesi (quindi, con una durata ben più ampia del contratto privo di causale introdotto dalla legge Fornero, che può arrivare solo fino a 12 mesi).
Altra rilevante innovazione riguarda gli intervalli tra un contratto e l’altro: viene completamente rimosso ogni vincolo di attesa (la normativa generale consente una sola proroga e, alla fine del contratto, impone un’attesa di 60 o 90 giorno per l’instaurazione di un altro rapporto), e quindi si consente la stipula di successivi contratti a tempo determinato, anche senza soluzione di continuità.
La legge stabilisce che i contratti a termine, sommati tra loro, non potranno avere una durata superiore a trentasei mesi, anche se quando sarà raggiunta tale soglia, l’impresa avrà la possibilità di stipulare un ulteriore (e ultimo) contratto a tempo determinato, a condizione che la firma del contratto avvenga presso la Direzione territoriale del lavoro competente per territorio.
I contratti a termine stipulati dalle start up innovative si convertiranno a tempo indeterminato quando la loro durata, comprensiva di proroghe e rinnovi, abbia complessivamente superato i trentasei mesi (o la maggiore soglia, in caso di stipula del contratto ulteriore avanti alla Direzione del Lavoro).
Analoga sanzione si applica per i casi di prosecuzione o rinnovo dei contratti a termine oltre la durata massima sopra ricordata, e per i casi di loro trasformazione in contratti di collaborazione privi dei caratteri della prestazione d’opera o professionale. In tutte queste ipotesi, la legge dispone la trasformazione dei contratti in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Infine, la conversione si applica in tutti i casi in cui un’impresa priva dei requisiti per essere definita start up innovativa applichi le regole sopra descritte.
Le misure di incentivazione si estendono anche al costo del lavoro a termine; precisa la nuova normativa, infatti, che ai rapporti di lavoro a tempo determinato instaurati dalle start up innovative non trova applicazione il contributo addizionale dell’1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali, introdotto dalla riforma Fornero a carico dei contratti a termine per finanziare l’ASPI .
La riforma si occupa anche della retribuzione dei lavoratori (tutti, non solo di quelli a termine) assunti da una start up innovativa. Viene precisato che il trattamento economico è costituito da una parte che non può essere inferiore al minimo tabellare previsto, per il rispettivo livello di inquadramento, dal contratto collettivo applicabile, e, dall’altra, da una parte variabile, consistente in trattamenti collegati all’efficienza o alla redditività dell’impresa, alla produttività del lavoratore o del gruppo di lavoro, o ad altri obiettivi o parametri di rendimento concordati tra le parti, incluse l’assegnazione di opzioni per l’acquisto di quote o azioni della società e la cessione gratuita delle medesime quote o azioni.
Questa disposizione non è particolarmente innovativa; la vera novità sta nel comma successivo, nel quale si dice che i contratti collettivi possono fissare minimi tabellari diversi da quelli ordinari, in caso di start up innovative, così come possono stabile le regole per la definizione della retribuzione variabile.
Un rinvio molto ampio alla contrattazione collettiva riguarda, inoltre, la facoltà per le parti sociali di adattare le regole di gestione del rapporto di lavoro alle esigenze delle start up innovative, nella prospettiva di rafforzarne lo sviluppo e stabilizzarne la presenza nella realtà produttiva.
DECRETO-LEGGE 18 ottobre 2012, n. 179