Le indennità che il datore di lavoro deve pagare in caso di licenziamento ingiustificato sono soggette a tetti massimi variabili. Nessun tetto si applica per l’ipotesi di licenziamento discriminatorio: l’indennità spettante al lavoratore – che, ricordiamo, si somma alla reintegrazione del lavoratore – si calcola in misura pari all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegra. Tale indennità non potrà in ogni caso essere inferiore a 5 mensilità, ed è soggetta al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali relativi a tale periodo. Dall’importo dell’indennità può tuttavia essere dedotto quanto percepito dal lavoratore nel periodo di estromissione per lo svolgimento di altre attività lavorative (c.d. aliunde perceptum).
Come accadeva già prima dell’entrata in vigore della riforma Fornero, e fermo restando il diritto al risarcimento, il lavoratore avrà la possibilità di chiedere in sostituzione della reintegra sul posto di lavoro il pagamento di un’ulteriore indennità, di importo pari a 15 mensilità della retribuzione globale di fatto da ultimo percepita; questa indennità non è soggetta al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, come precisa espressamente la legge n. 92/2012 (superando i dubbi esistenti al riguardo).
Una disciplina si applica alle indennità spettanti in caso di licenziamento disciplinare: se il lavoratore ha diritto alla reintegra, deve essere pagata anche un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto in misura non superiore a dodici mensilità. Se invece al licenziamento disciplinare non si applica la reintegra, l’importo dell’indennità varia dalle 12 alle 24 mensilità, che sono quantificate dal giudice sulla base di criteri predefiniti. Dalla somma potrà essere dedotto quanto percepito dal lavoratore nel periodo di estromissione per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché gli importi che il lavoratore avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. Su queste somme si pagano i contributi, ma non le sanzioni per omessa o ritardata contribuzione, e dagli stessi va comunque detratto il valore già accreditato per altre attività lavorative.
Le somme sono uguali per i licenziamento economico, con l’unica precisazione che, quali criteri aggiuntivi per la determinazione della misura dell’indennità, il giudice deve tenere conto delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell’ambito della procedura di conciliazione preventiva. Questo criterio – noto come aliunde percipiedum – è di matrice giurisprudenziale ed è molto importante, in quanto serve a responsabilizzare il lavoratore licenziato, che non può fare affidamento sempre e comunque sull’ipotetico risarcimento danni derivante dalla causa. Egli dovrà anche attivarsi per cercare lavoro, pagandone le conseguenze in caso di inerzia.