Il Ministro Fornero sembra intenzionato ad occuparsi del tema della c.d. flessibilità in entrata, operando una semplificazione delle tipologie contrattuali esistenti, che sono indubbiamente molte e spesso ridondanti. Questa operazione, tuttavia, rischia di essere poco utile, se si esaurisce in una semplice cancellazione di alcuni strumenti contrattuali. Sarebbe sicuramente auspicabile un accorpamento dei contratti di breve durata (intermittenti, accessori, occasionali, ecc.), ma questa misura non risolverebbe la sostanza del problema, che sta altrove. Attualmente il mercato del lavoro formula una domanda di flessibilità che, nonostante le tante riforme di questo decennio, non trova adeguata risposta. I principiali strumenti di flessibilità in ingresso (contratti a termine, contratti formativi, somministrazione) presentano complessità tecniche di cui non si sente alcun bisogno. Chi utilizza un contratto a termine, sa che sta affrontando un’operazione ad alto rischio di contenzioso, perché la legge obbliga il datore di lavoro a scrivere la c.d. causale (il motivo per cui usa il contratto), ma non dice come deve essere fatto questo adempimento. Nel silenzio della legge, ciascun Giudice offre la sua interpretazione della causale, con esiti paradossali: la stessa causale per alcuni Tribunali è lecita, per altri produce la conversione a tempo indeterminato del contratto. Per superare questo problema, la soluzione sarebbe semplicissima: cancellare l’obbligo di redazione della causale. Una misura del genere non comporterebbe alcuna autorizzazione all’uso indiscriminato del contratto: basterebbe mantenere in vita e potenziare i limiti oggettivo di utilizzo che già esistono (durata massima, e tetto alla quantità dei contratti utilizzabili per azienda). In questo modo, il controllo sarebbe solo quantitativo, e finirebbero le incertezze applicative. Analogo tema riguarda la somministrazione di lavoro, per la quale una direttiva comunitaria (la 104/2008) chiede espressamente di rimuove vincoli inutili (anche per quella forma particolare nota come staff leasing). Un intervento deciso su questi temi darebbe alle imprese quella flessibilità di cui hanno bisogno, disincentivando il ricorso a contratti irregolari che, paradossalmente, oggi creano meno problemi giudiziari di quelli regolari. I lavoratori non subirebbero alcuna riduzione di tutele e, anzi, potrebbero beneficiare del controllo sindacale, in quanto la definizione dei limiti quantitativi e di durata è tradizionalmente affidata ai contratti collettivi. Infine, misure di questo tipo svuoterebbero i Tribunali, cancellando con un colpo di penna migliaia di controversie che nascono solo in ordinamenti, come il nostro, malati di formalismo giuridico.
Questo contributo mi fa sorgere una domanda che – come un doppio carpiato con avvitamento – tenta di ricomprendere almeno 3 dei 5 argomenti contenuti negli “articoli recenti”; la propongo con tutta la banalità e rozzezza che contraddistingue le mie analisi: visto che il documento sindacale congiunto a preparazione dei confronti per l’imminente riforma del lavoro parla della somministrazione come della flessibilità buona che potrebbe/dovrebbe essere utilizzata per assorbire la (tanta, perchè numericamente molto + estesa) flessibilità cattiva, perchè tanta opposizione, tanta restrizione e tanti caveat dal lato sindacale (non faccio distinzioni) rispetto alla acausalità del contratto di somministrazione? come concretamente si può pensare che la somministrazione potrà essere in grado di “assorbire” rimanendo causale?